Dragan Velikić

Il quaderno scomparso a Vinkovci

Keller Editore





Sono forse diventato scrittore grazie alla sparizione del quaderno di mia madre a Vinkovci? Lei non ha mai superato quella perdita. E io non volevo altro che continuare la cronaca dei soggiorni familiari in albergo. Ero affascinato dall'importanza che mia madre dava ai periodi fuori casa. Di fatto la mia prima opera letteraria era stata un elenco di hotel nei quali avevo pernottato, annotato in un taccuino dalla copertina ingiallita una notte a Lubiana. L'elenco era molto breve: Palace a Ohrid, Lipa a Pola, Slon a Lubiana. Poco dopo avevo smesso di prendere nota. Ero passato a collezionare i prospetti e le brochure degli alberghi nei quali soggiornavo.”


È un romanzo curioso quello di Dragan Velikić, curioso perché oscilla fra l'annotazione autobiografica e il racconto, descrivendo il processo che porta uno scrittore, in questo caso lui stesso, a costruire una storia di fantasia basata però su fatti e personaggi realmente esistiti e da lui incontrati nel corso della sua infanzia o anche soltanto sentiti nominare nei ricordi di famiglia. Personaggio centrale risulta la madre di Velikić, quale depositaria della memoria familiare, nonostante la demenza senile incipiente ne mini la lucidità, ma quello che ci offre l'autore è un viaggio fra l'Istria e i Balcani passando per Salonicco, Vienna e Trieste, attraverso le vicissitudini di un nucleo familiare costretto ad adattarsi ai mutamenti di un territorio che nell'arco del Novecento ha mutato spesso la propria connotazione nazionale e i propri confini, un territorio che ha costretto i suoi abitanti, fino alla fine del secolo passato, a cambiare spesso nazionalità e bandiera, oppure a trovare altre soluzioni che sono sfociate nell'esilio di intere comunità, con conseguente perdita di case, proprietà e affetti, relazioni e quei legami che fanno di una terra la sostanza delle proprie radici. È stato così per le comunità musulmane in Grecia dopo la caduta dell'Impero Ottomano al termine della Grande Guerra, o delle comunità italiane nell'Istria dopo il 1945 o ancora della popolazione serba residente sulla costa croata e di cui la famiglia dell'autore faceva parte, durante il disastro conseguente alla dissoluzione della ex Jugoslavia negli anni '90.

Il quaderno scomparso a Vinkovci si potrebbe definire un romanzo dell'esilio ma anche della ricerca delle proprie radici, dei ricordi, dei personaggi che hanno costellato l'esistenza dell'autore ma anche di Lisetta, amica di famiglia di origini italo-greche che diventerà protagonista del racconto che Velikić cercherà di sviluppare su esortazione della madre stessa, la quale è convinta che l'amica di un tempo avesse vissuto una vita degna di essere raccontata.

È quindi un viaggio parallelo quello che intraprende l'autore, ripercorrendo in parte il tragitto istriano tracciato da Lisetta, che coincide in buona parte con lo stesso percorso che lui stesso ai nostri giorni si trova a esplorare alla ricerca di quel tempo che sembra ormai davvero perduto.


Tutt'intorno a sé sentiva l'invisibile presenza degli altri. Era proprietario di una biografia, oppure di tante messe insieme? Di chi erano le vite che viveva? Perché percepiva episodi che non avevano nulla a che fare con il suo vissuto come ne fossero parte? Fissazioni e ossessioni sono segnalazioni sismiche dell'attività di coscienza, che a un certo punto mette in relazione fatti apparentemente privi di una connessione.”


Un romanzo nel romanzo quello di Dragan Velikić, dove memoria e narrazione di fantasia si mescolano creando un'alchimia che avvolge il lettore trasportandolo nei vicoli di una Pola vista con gli occhi di un ragazzo, come fra le rovine ancora fumanti del quartiere ebraico di Salonicco, distrutto da un incendio nel 1917 dove Lisetta vaga alla ricerca di tracce lasciate dai suoi genitori periti nel rogo, o nei vagoni dei treni che attraversavano un territorio dai confini labili e tendenti allo spostamento quando non alla scomparsa, come quello serbo-turco attraversato da Lisetta nel suo viaggio da Salonicco a Trieste e riemerso dal ricordo di un viaggio lontano nel tempo, compiuto con la madre:


Lisetta si alzò e abbassò il finestrino. Il vagone si fermò di fronte a una casa con giardino e delle aiuole di rose. A destra c'era l'edificio della stazione. Non c'erano le lanterne che le erano rimaste impresse, né la tettoia con le begonie. La facciata però era la stessa di quattordici anni prima. Simile a tante altre in giro per la Monarchia asburgica. La stessa forma delle finestre, la parte superiore costruita a volta, decorata con dei mattoni rossi.”


La promessa fatta alla madre sarà quindi mantenuta e la storia di Lisetta comincerà a prender forma fra le pagine del romanzo di Velikić, chiudendo forse un cerchio fra il suo vissuto e quello della madre, figura importante quanto ingombrante nella vita di un figlio alla ricerca di una riconciliazione con il proprio passato.


Recensione di Roberto Maestri.






Dragan Velikić è nato a Belgrado, dove vive e lavora, nel 1953. Cresciuto a Pola, in Istria, si è laureato in Filologia all'Università di Belgrado e dal 1996 al 1999 è stato direttore di Radio B92, emittente apertamente schierata contro il regime di Slobodan Milošević.

Dal 1999 al 2002 ha vissuto in esilio volontario a Vienna, Budapest, Monaco, Berlino e Brema e ha ricoperto l'incarico di Ambasciatore per la Serbia a Vienna dal 2005 al 2009.

Giornalista per il settimanale indipendente Vreme dal 1991 al 1996, ha pubblicato 11 romanzi, 3 raccolte di racconti e 5 opere di saggistica.

Tra i riconoscimenti letterari ottenuti si segnalano due premi NIN: nel 2007 per La finestra russa e nel 2015 per Islednik è uno degli autori più importanti della letteratura balcanica. Si è aggiudicato alcuni dei maggiori premi letterari dei Balcani come il Premio NIN – per due volte – e il premio Meša Selimović ai quali si sono aggiunti il Premio letterario Mitteleuropa-Preis, il Premio della Città di Budapest e il Premio Vilenica per la letteratura mitteleuropea. Le sue opere sono tradotte in numerose lingue.

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