Curzio Malaparte


Coppi e Bartali 


Adelphi




“Mi hanno sempre affascinato, nella vita degli assi del ciclismo, il loro precoce senso di predestinazione. Fin dalla più tenera infanzia, sanno che un giorno diventeranno campioni. Hanno dei sogni, delle visioni. Già all’età di sei, otto o dieci anni, ciascuno di loro sa che diventerà un fuoriclasse, e che un giorno vincerà la Milano-Sanremo, il Giro d’Italia, la Parigi-Roubaix, Il Tour de France, una Sei Giorni. Ciascuno di loro, all’età di sei, otto anni, sa già che avrà un rivale, un nemico fraterno. Ogni Oreste, prima ancora di inforcare la prima bicicletta, sa già che avrà il suo Pilade. Ogni Girardengo sa che avrà il suo Ganna, ogni Binda il suo Guerra, ogni Bartali il suo Coppi.” 

È innanzitutto un atto d’amore verso il ciclismo questo libro di Curzio Malaparte pubblicato in Francia nel 1949 e commentato da par suo da uno dei più grandi narratori di ciclismo recentemente scomparso, quel Gianni Mura che fece dei reportage sul Tour de France una ragione di vita. 

“Senza dubbio la bicicletta nasconde qualche arcano significato. Che cosa c’è, infatti, di più machiavellico? Ci chiediamo come possa stare in piedi ed ecco che lei prende il volo, in equilibrio su un invisibile filo d’acciaio, come un acrobata sulla fune.”

Il saggio di Malaparte ha inizio dagli albori di uno sport che vide il suo sviluppo lungo tutto il Novecento, a partire dai primi eroici pionieri delle due ruote, fino alla storica e appassionante rivalità sportiva fra i due campioni che più hanno incarnato l’Italia del loro tempo: Coppi e Bartali. 

“Questi due atleti perfetti, fra i più grandi che esistano, sono tanto diversi fra loro quanto possono esserlo due diverse rappresentazioni del mondo, due mondi diversi di concepire l’universo e l’esistenza.” 

Due personaggi diversi e in antitesi fra loro, così come li descrive l’autore toscano il quale non nasconde una certa propensione per il suo conterraneo Bartali, nel quale a suo dire, prevarrebbe l’elemento umano sorretto da una profonda fede, mentre in quello del rivale piemontese Coppi, a prevalere sarebbe l’elemento razionale e meccanico di una fisicità preordinata. 

«Perché vorresti che la tua bicicletta fosse un po’ più stupida? Guarda quella di Coppi. È molto intelligente. E si vede». «Certo che si vede» replicò Gino Bartali con un sorriso sprezzante. «Si vede che è molto, molto intelligente, come dici tu. Se non fosse così intelligente, Fausta sarebbe tornato a fare il salumiere da un pezzo». 

Rivali sulle strade ma amici nella vita, nonostante una certa pubblicistica soffiasse sul fuoco della contrapposizione dei due personaggi in nome di un’audience costretta a tener viva l’attenzione sui due fenomeni. 

“«La bicicletta è come una donna!» ha detto una volta Serse Coppi, il fratello di Fausto. Sì, ma per quale ragione Gino e Fausto dovrebbero odiarsi? Non corrono mica sulla stessa bicicletta.” 

Il ritratto dei due corridori è anche il ritratto di un’Italia che a fatica usciva dalle rovine di una guerra e di una dittatura che aveva lasciato segni profondi nella società italiana. L’attentato all’allora segretario del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, che portò il Paese sull’orlo di una nuova guerra civile e al cui assopimento contribuì, come narra la leggenda, la vittoria al Tour del campione toscano. 

La lucida postfazione di Gianni Mura completa questo piccolo saggio sui due campioni e su un mondo forse scomparso ma ancora denso di un’epicità che si tramanda fino ai nostri giorni.


Recensione di Roberto Maestri. 







Curzio Malaparte, Pseudonimo del giornalista e scrittore italiano Curzio Suckert (Prato 1898 - Roma 1957). Personalità poliedrica, indipendente e controversa, passò dall'adesione al fascismo, all'antifascismo (che gli procurò nel 1933 il confino), al filocomunismo. Scrisse acuti testi politico-letterari, tra cui Italia barbara (1925), e romanzi quali Kaputt (1944) e La pelle (1950), crude testimonianze sulle atrocità della guerra. 

Durante la prima guerra mondiale si arruolò nella legione garibaldina delle Argonne; quindi combatté, come semplice soldato, sul fronte italiano e come ufficiale di nuovo in Francia, dove fu decorato al valore. Da allora, il suo intenso vitalismo e uno spirito dannunziano d'avventura lo sospinsero di esperienza in esperienza, dal giovanile repubblicanesimo al fascismo, dalla fronda antifascista (che gli procurò, nel 1933, la condanna, peraltro blanda, al confino) al filocomunismo e, in extremis, alla conversione al cattolicesimo. Fondò alcuni periodici politico-letterarî (La conquista dello Stato, 1924; Prospettive, 1939); fu condirettore della Fiera, poi Italia letteraria (1928-33), direttore della Stampa di Torino (1929-31), collaboratore del Corriere della sera, anche con lo pseudonimo di "Candido", e corrispondente, durante la seconda guerra mondiale, dai vari fronti. Dal 1953 in poi redasse, per il settimanale Tempo, la rubrica Battibecco. Viaggiò ripetutamente per l'Europa, con lunghi soggiorni a Parigi; fu anche nell'America Meridionale, e da ultimo in Cina. 

La sua attività letteraria, accanto a "ragionamenti" politico-letterari (L'Europa vivente, 1923; Italia barbara, 1925; Intelligenza di Lenin, 1930; Technique du coup d'état, 1931, ecc.) o di costume (Maledetti toscani, 1956), comprende "cantate" (L'Arcitaliano, 1928) e racconti epico-popolareschi (Avventure di un capitano di sventura, 1927), ispirati a quel mito di "Strapaese" che egli stesso - dopo essere passato per il "novecentismo" europeizzante di M. Bontempelli - aveva contribuito a creare; e accanto a prose di un idillismo evocativo e magico (tra le sue più felici: Donna come me, 1940), altre di un realismo (Kaputt, 1944) o di un cinismo (La pelle, 1950) spinti all'estremo, e tuttavia mescolati a una sensuale malinconia. Scrisse anche per il teatro e diresse un film, Il Cristo proibito (1950). Postume sono uscite parecchie raccolte di suoi scritti, per lo più già apparsi in giornali, da Io, in Russia e in Cina (1958), a cura di G. Vigorelli, a Mamma marcia (1959), Benedetti italiani(1961), Diario di uno straniero a Parigi (1966), Battibecco, 1953-1957 (1967), a cura di E. Falqui; del 2009 è la pubblicazione in traduzione italiana del saggio scritto in francese nel 1949 Coppi e Bartali. (Fonte Treccani.it) 













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