Matilde Serao


Telegrafi dello Stato


Alessandro Polidoro Editore



Si tratta della novella di apertura del volume "Il romanzo della fanciulla", del 1886. 

Ho trovato questa lettura deliziosa. Non vi è una vera e propria "storia", se non una - semplicissima - che lega un personaggio, dall'inizio alla fine. In realtà la novella è un ottimo esempio di narrazione corale. Trova chiara ispirazione nell'esperienza della Serao che, subito dopo gli studi, lavorò per tre anni ai telegrafi delle Poste Centrali di Napoli. L'ambientazione è realistica, all'interno di Palazzo Gravina di Napoli, ed è plasticamente possibile immaginare le ragazze intente al lavoro, sia nello stanzone che all'uscita dall'ufficio, dopo i turni di sette ore. 

La Serao descrive benissimo il lavoro femminile di stampo "industriale" di fine secolo XIX, quando il telegrafo aveva rivoluzionato le relazioni tra persone lontane. Le giovani ausiliarie lavorano incessantemente, venendo multate in caso di ritardi ed errori, senza prospettiva di una pensione ( destinate a essere destituite dal servizio all'età di quarant'anni) e sottopagate rispetto agli uomini. Eppure, quanta freschezza giovanile nei loro volti e nelle loro attese: di un amore, di un ballo, di una chiacchiera con qualche corrispondente dall'altra parte del filo (le prime chat!). 

Sullo sfondo, il personaggio della direttrice, una sorta di suora laica del Servizio Telegrafico, dedita con fermezza e passione nascosta al lavoro. 

Il lettore apprende molto, dalla descrizione letteraria, circa il funzionamento di un macchinario oggi completamente sconosciuto e che, pure, nell'economia di quegli anni, ha rappresentato una svolta e che dalle parole dell'autrice pare esso stesso vivo, una sorta di personaggio ulteriore. 

"Ma tutto un farfuglio di segni comparve sulle linee di Cosenza e di Catanzaro dove stavano Maria Morra e Sofia Magliano, e dopo poco la vice-direttrice annunziava: "un palo è stato fulminato, verso Salerno (...)". Sei linee erano abbattute nello stesso tempo: ma non tacevano: su quelle macchine vi era un garbuglio di correnti, di trasmissioni, di colpi forti che l'elettricità dell'aria tagliava in due. Il tuono rombava più forte (...) . Tutte le macchine scricchiolarono, a tutti i reofori, a tutti i bottoncini, vi fu un fioco scintillìo (...)" 

Insomma, lettura consigliatissima, rétro quanto basta per affascinare. 




Recensione di Jo March






Matilde Serao, scrittrice e giornalista (Patrasso 1856 - Napoli 1927). Compiuti a Napoli gli studî da maestra, s'impiegò nei Telegrafi dello stato, mentre cominciava a pubblicare bozzetti e novelle su giornali locali; finché entrò nella redazione del Corriere del mattino. Nel 1882 si trasferì a Roma, dove collaborò al Capitan Fracassa, al Fanfulla della Domenica, alla Nuova Antologia e alla Cronaca bizantina. Nel 1884 sposò Edoardo Scarfoglio, col quale fondò il Corriere di Roma, poi il Corriere di Napoli (dove creò una rubrica mondana, "Api, mosconi e vespe", che divenne presto famosa), e quindi Il Mattino, di cui fu condirettrice fino al 1904, quando si separò dal marito e fondò, sempre a Napoli, Il Giorno, che diresse fino alla morte (firmando anche con lo pseudonimo Gibus). Accanto a questa attività giornalistica, la S. venne svolgendo la sua opera di narratrice, che comprende oltre quaranta volumi fra romanzi e novelle; e che, iniziatasi all'insegna del verismo meridionale, seguì poi, più che le correnti, le mode dello psicologismo alla Bourget, dello spiritualismo misticheggiante e del cosmopolitismo. Il primo periodo, che si protrae fino al 1905, resta, pur con qualche flessione, il più felice della sua arte; la quale, ora fervidamente rievoca aspetti, ambienti, figure della più gremita e misera vita napoletana, con sicura intuizione della psicologia collettiva e individuale, specie femminile (Dal vero, 1879; Piccole anime, 1883; Il romanzo della fanciulla, 1886; All'erta, sentinella!, 1889; Il paese di Cuccagna, 1890; La ballerina, 1899; Suor Giovanna della Croce, 1900), ora rappresenta passioni, tresche e ambizioni della società borghese o del mondo politico-giornalistico, con un distacco tuttavia oggettivo, a momenti da nota di cronaca (Fantasia, 1883; La virtù di Checchina, 1884; La conquista di Roma, 1885; Vita e avventure di Riccardo Ioanna, 1887): e sempre con uno stile disadorno, ma capace di suggestioni, di poetiche illuminazioni, talvolta (come in certe scene napoletane) anche di una barocca grandiosità. Fra le altre opere: Il ventre di Napoli (1884); Addio, amore! (1890); Castigo (1893); L'infedele (1897); Nel paese di Gesù (1898), ricordi di un viaggio in Palestina. (Fonte treccani.it)


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