Ágota Kristóf

Trilogia della città di K.

Einaudi



Bene, avete iniziato a leggere la Trilogia della città di K. e vi siete subito imbattuti nei nomi Claus e Lucas senza notare niente. Male, non siete partiti benissimo, ma potete migliorare in corso d’opera. Calma, calma... ora avete notato qualcosa perché in spiaggia portate anche La Settimana Enigmistica e, con un sorriso furbetto sulle labbra che sembra dire “al lettore smaliziato non la si fa!”, siete subito saltati a una conclusione. Di male in peggio: la vostra intuizione è sbagliata e Agota è molto più furba di voi, ma questo lo scoprirete solo andando avanti.

Però adesso ci avete preso gusto e vi siete soffermati sulla K. del titolo, chiedendovi perché non vi sia dato conoscere il nome e neppure il paese. Così, in cerca di lumi, avete telefonato a quel vostro conoscente slavofilo che si dà un arie da maître à penser, per sentirvi rispondere che potrebbe essere un tributo reso ai grandi narratori russi dell’800, a incominciare da “Nell'androne d'una locanda della città di N., capoluogo di governatorato...” di Gogol’, una presa per i fondelli della censura sovietica, o più probabilmente entrambe le cose, visto che la Kristof, esule ungherese, odiava i sovietici, ma certamente non poteva odiare i padri della letteratura russa.

La tentazione di tornare alla Settimana Enigmistica è stata forte, ma avete stoicamente resistito e avete finito per leggere un capolavoro della letteratura mondiale. Un libro che vi ha venduto l’orrore della guerra, il suo famelico degrado, la sua letale ironia e la sua lucida follia, senza sconti, anzi pretendendo dalla vostra capacità di sopportazione un cinismo che reclama anche gli spiccioli. Un libro scritto con inchiostro indelebile. Un libro che non avrete il coraggio di consigliare a nessuno, perché in grado di suscitare un’ammirazione profonda o una repulsione altrettanto netta.

Però avevate bisogno di parlarne con qualcuno, così avete preso fiato, ripreso il telefono, e avete rifilato allo slavofilo la vostra recensione: “La tecnica della narrazione è caleidoscopica e nei movimenti delle tre parti ci sono sovrapposizioni e diversità. La terza parte illude il lettore che i movimenti siano cessati per consentirgli di fissare la verità, ma la Kristof sembra invitarlo a ruotare ancora e magari ricominciare da capo. Lo stesso per lo stile della prima parte: difficile dire in che percentuale sia scarno per adattarsi a un lessico infantile e alla scabrosità della narrazione, e in che percentuale sia condizionato dalla poca confidenza con la lingua in cui è stato scritto. In conclusione, un libro crudo come il sashimi, affilato come un coltello da sushi, definitivo come un taglio con quest'ultimo!”

Il telefono non dava alcun segno di vita, e immaginando lo slavofilo a bocca aperta come una carpa, avete messo giù il telefono soddisfatti di voi.

Traduzioni di Armando Marchi, Virginia Ripa di Meana, Giovanni Bogliolo.

Recensione di Riccardo Gavioso.




Ágota Kristóf (Csikvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27 luglio 2011) è stata una scrittrice e drammaturga ungherese naturalizzata svizzera.

Come autrice, si è espressa quasi esclusivamente in francese, la sua seconda lingua, che non riuscirà mai a padroneggiare pienamente e senza errori, una circostanza che, nella narrazione autobiografica, portò la scrittrice a definire se stessa come un'«analfabeta».

Ágota Kristóf nacque il 30 ottobre 1935 a Csikvánd, un villaggio dell'Ungheria "privo di stazione, di elettricità, di acqua corrente, di telefono". A 4 anni impara a leggere correttamente e a 14 a scrivere le sue prime poesie e le sue prime pièce teatrali, mentre in età adolescenziale viene mandata in un collegio di sole ragazze. Nel 1956, in seguito all'intervento in Ungheria dell'Armata Rossa per soffocare la rivolta popolare contro l'invasione sovietica, fugge con il marito e la figlia in Svizzera e si stabilisce a Neuchâtel, dove vivrà fino alla morte. Non perdonerà mai al marito la decisione di allora, presa per paura di essere arrestato dai sovietici, tanto che in una intervista dirà: «Due anni di galera in URSS erano probabilmente meglio di cinque anni di fabbrica in Svizzera». È sepolta a Köszeg nel principato di Vas in Ungheria.

A Neuchâtel Ágota Kristóf impara il francese, che adotterà per la sua scrittura letteraria. Raggiunge il successo internazionale nel 1987, con la pubblicazione de Le grand cahier (Il grande quaderno), che viene eletto "Livre Européen". Le grand cahier confluirà, insieme a La preuve (La prova) e Le troisième mensonge (La terza menzogna), nella Trilogie (Trilogia della città di K.), il riconosciuto capolavoro letterario di Ágota Kristóf, stampato in oltre 30 paesi. I personaggi dei racconti di Kristóf sono spesso segnati dalla condizione esistenziale dell'erranza, l'impossibilità di riattingere ai luoghi delle proprie origini. (Fonte Wikipedia)

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