Ivan Turgenev 


Padri e figli 


Garzanti




Questo scrivevo, nel 2014, su Padri e figli: 

"Terminato in pochi giorni Padri e figli di Turgenev ... che dire , sapevo che era un capolavoro ma poi quando le storie le tocchi con mano comprendi i motivi per cui diventano immortali ! Come in questo caso ... una narrazione piena di contenuti e nello stesso tempo non ridondante , figure umane tratteggiate con maestria quanto a storia personale e caratteri , su tutti spicca quella di bazarov, il nichilista , colui che non crede ( o crede di non credere) in nulla ... un personaggio che a mio modo di vedere l 'autore identitifica come simbolo di una intera generazione di giovani dalle grandi ambizioni , che avrebbero voluto cambiare il mondo ... consigliatissimo per chiunque voglia accostarsi ad una storia solo apparentemente semplice ma in realtà intrisa di più di un significato" . 

Alla seconda lettura, appena finita, mi sento non solo di confermare ma anche di approfondire quanto dissi. Dando per scontato che la trama sia nota, la mia impressione è stata che la contrapposizione tra i "padri" e i "figli" non sia tanto tra quelli biologici della storia, quanto tra Pavel Petrovich e Bazarov: il primo, simbolo del secolo XIX già visto come agé, uomo romantico, passionale a mille, amante degli usi stranieri, che ancora usa il sistema della sfida a duello per tutelare il suo onore; il secondo, giovane, in apparenza cinico, anarchico, positivista, radicato nella sua terra. Tutto sommato, secondo l'autore, chi soccombe è l'uomo nuovo: perisce nonostante la sua scienza, che non riesce a salvarlo. Colui che crede di non credere cade vittima prima dell'Amore e poi del Fato. 

Il futuro, secondo Turgenev, non è nella rivoluzione nichilista. 

Intanto, il lettore non può fare a meno di affezionarsi a Bazarov, che esprime tutte le contraddizioni della gioventù e delle mode, e ai suoi genitori, emblemi di sofferenza innocente, soli dinanzi alla fine della loro unica discendenza, alberi senza foglie che non daranno frutto. 

Tutti i personaggi sono indimenticabili, l'unico meno incisivo mi è parso Arkadij. L'Odincova, poi, mi è apparsa emblema di donna che vorrebbe essere altro da sé ma si lascia vincere da paura, pigrizia e snobismo e resta immobile. Una donna a metà tra la borghesia e l'aristocrazia, che non a caso alterna atteggiamenti "nuovi", attirando a sé Bazarov, che in quanto figlio di un medico ha ben poco da vantare, per poi rifiutarlo. La coerenza non appartiene necessariamente all'essere umano, lo sappiamo e lo sapremo sempre di più, nella letteratura successiva a Turgenev.


La traduzione è di Margherita Crepax.

Recensione di Jo March.







Ivan Turgenev, scrittore russo (Orël 1818 - Bougival, Parigi, 1883). Tra i primi autori ad essere conosciuto e apprezzato in Occidente, T. ottenne un grandissimo successo con i racconti della raccolta Zapiski ochotnika ("Memorie di un cacciatore", 1852), atto d'accusa contro la servitù della gleba. Altrettanto successo ebbero i lavori scritti dopo il trasferimento a Parigi, quali Dvorjanskoe gnezdo ("Un nido di nobili", 1859) e Otcy i deti ("Padri e figli", 1862), tutti accolti con successo e interesse, ma che al tempo stesso suscitarono polemiche per il fatto che ad essi venne attribuito, al di là delle reali intenzioni di T., un messaggio ideologico sulla società russa del tempo. 

Nacque dal matrimonio di un ufficiale dei corazzieri, di antica famiglia nobile decaduta, con una Lutovinov, di famiglia poco nota, ma ricchissima. Donna energica e dispotica, Varvara Petrovna ebbe nell'educazione d'Ivan e dell'altro figlio Nikolaj, un'influenza negativa. L'istruzione dei due ragazzi nei primi anni fu disordinata e confusa, in cui però emerse l'innata passione di T. per la lettura. All'età di dodici anni, nel 1830, egli fu messo in collegio a Mosca, dove compì gli studi secondari e iniziò quelli universitari continuati poi a Pietroburgo. A Mosca conobbe P. A. Pletnëv e, per suo invito, esordì come poeta nella rivista Sovremennik. Per completare gli studi si recò in Germania, dove, a Berlino, conobbe A. I. Stankevič, N. V. Herzen, M. A. Bakunin, e subì l'influenza della filosofia hegeliana. Nel 1841 T. tornò in Russia, dove si legò a circoli progressisti del tempo, conobbe V. G. Belinskij e giurò a sé stesso di combattere contro la servitù della gleba. Solo più tardi però questo giuramento trovò eco nel suo lavoro letterario; per il momento egli continuò a scrivere poesie liriche, poemetti in versi (Paraša, Razgovor "Conversazione", Andrej, ecc.) e in prosa (Andrej Kolosov, Bretër "Il duellista", Tri portreta "Tre ritratti") e scene drammatiche (Mesjac v derevne "Un mese in campagna", pubbl. nel 1855; Neostorožnost´ "Un'imprudenza", Zavtrak u predvoditelja "Un pranzo dal capo della nobiltà", pubbl. nel 1856; Nachlebnik "Il parassita" o "Pane altrui", pubbl. nel 1857). Nel 1843 aveva conosciuto la cantante Pauline García Viardot alla quale rimase legato tutta la vita. Nel 1847, sempre nella rivista Sovremennik, usciva la prima opera in prosa di T., il racconto Chor´ i Kalinyč ("Ch. e K.") con il sottotitolo Dalle memorie di un cacciatore, cui seguirono numerosi altri racconti che T. riunì in seguito (1852) nel volume intitolato Zapiski ochotnika. Il successo fu grandissimo, e non solo per l'arte con cui erano descritti la campagna e i contadini russi, ma soprattutto forse perché molti videro in quei racconti un vero e proprio atto di accusa contro la servitù della gleba, cosa che indubbiamente favorì il movimento di liberazione, contribuendo anche, a quanto pare, alla decisione dello zar Alessandro II che nel 1861 procedette alla liberazione. Intanto però T. veniva confinato (1852) nella tenuta materna di Spasskoe, per un articolo scritto in occasione della morte di Gogol´. Terminato l'esilio, T., divenuto ricco per la morte della madre, lasciò la Russia e si stabilì a Parigi presso la famiglia Viardot. Nel 1856 uscì il suo primo romanzo Rudin, cui seguirono rapidamente Dvorjanskoe gnezdo, Nakanune ("Alla vigilia", 1860), Otcy i deti. Allo stesso periodo appartengono pure alcuni dei suoi migliori racconti: Mumu (1854), Jakov Pasynkov (1855), Asja (1858), Pervaja ljubov´ ("Primo amore", 1860). Tutti i romanzi di T. furono accolti, oltre che con successo per l'indubbia arte dello scrittore, con interesse sempre crescente per le idee che T., solo preoccupato in realtà di descrivere con veridicità e vivezza la vita russa del tempo, imbevuta come era di problemi e polemiche ideologiche, faceva esprimere dai suoi personaggi; le sue opere furono così fonte di polemiche, di lodi e di accuse che spesso amareggiarono lo scrittore. Inoltre la rottura dei suoi rapporti con Herzen e con N. G. Černyševskij acuì le polemiche intorno a Padri e figli poiché le giovani generazioni, vedendo nel protagonista Bazarov una caricatura dei loro ideali, lo accusarono di essere reazionario; T., lontano dalla patria, preso da nostalgia e avvilito dall'incomprensione che credeva di trovare, interruppe l'attività letteraria. Solo nel 1867 uscì un nuovo romanzo, Dym ("Fumo"), e dopo altri dieci anni l'ultimo romanzo di T., Nov´ ("Terra vergine", 1877), entrambi inferiori ai precedenti, e questa volta realmente tendenziosi o per lo meno volutamente ideologici. Il temperamento poetico e romantico di T. si riversò ancora negli ultimi anni in opere più brevi, ma di alto livello lirico e drammatico, come Stepnoj korol´ Lir ("Un re Lear delle steppe", 1870), Vešnie vody ("Acque primaverili", 1872), Pesnj toržestvujuščej ljubvi ("Il canto dell'amore trionfante", 1881), gli ultimi racconti delle Memorie di un cacciatore (Konec Čertopchanova "La fine di Čertopchanov", 1872; Živye mošči "La reliquia vivente", 1874; Stučit! "Batte", 1874), Klara Milič (1883), e soprattutto quel breve capolavoro che sono le Stichotvorenija v proze ("Poesie in prosa", 1878-82). Nel 1880 T., tornato in Russia, vi fu accolto entusiasticamente e pronunciò, come Dostoevskij, un discorso per l'inaugurazione del monumento a Puškin. Poi lasciò di nuovo la Russia e questa volta definitivamente, poiché nel 1883, dopo aver dettato il suo ultimo racconto a P. Viardot, si spense a Bougival. La sua salma fu trasportata in Russia e sepolta a Pietroburgo. (Fonte treccani.it)

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