Paolo Di Paolo


Romanzo senza umani


Narratori Feltrinelli





Recensione di Ugo Mauthe.

Tutti abbiamo il diritto di scrivere la nostra recherche, senza la pretesa di misurarci con il monumento. Non sono certamente il primo a pensare che con la parola recherche s'individui un genere a sé, di cui fa parte, con un tocco di originalità, il recente Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo.


Ecco un bel romanzo contemporaneo che riprende un tema tradizionale, quello dell'esplorazione del passato attraverso la memoria, ma con una variante molto interessante. Il protagonista, Mauro Barbi, non ritorna sui luoghi della propria storia umana ma risponde a mail di quindici anni prima o digita numeri telefonici che non usa da anni e così facendo dà vita a incontri con la propria memoria dagli esiti imprevedibili con la scoperta di imprevisti punti di vista. Questa ricerca di persone che sono rimaste indietro rispetto alla sua vita ma che nel frattempo hanno vissuto la propria, anche dimenticandosi o quasi di lui, contribuisce al lavoro di scavo e bilancio che il protagonista fa su se stesso, alquanto severo direi. A questo piano narrativo, che si intuisce soggetto a variabili temporali significative, si intreccia il presente di Barbi, che di professione è uno storico. Un presente ancorato ai suoi studi sui fatti accaduti intorno a un lago ghiacciato in Germania, al centro di tragiche vicende di oltre quattro secoli prima, vicende su cui il protagonista indaga da tempo per ricavarne materiale utile per una trasmissione tv o un documentario: un'altra forma di lavoro sulla memoria. E infine, terzo piano narrativo, la vicenda amorosa con Anna. Ce ne sarebbe abbastanza per confondersi, però la confusione non scoppia. Paolo Di Paolo si destreggia con abilità fra i diversi piani narrativi del suo ultimo lavoro, proponendo un romanzo interessante, di non banale approfondimento psicologico, che potrebbe perfino invitare il lettore a tentare l'esperienza: chi non ha dei nomi persi nel proprio passato cui potrebbe tornare, al di là della social-carrambata, con giustificazioni le più svariate, domandandosi chi sa cosa fa, come ha vissuto, avrà mai pensato a me, come sarebbe andata se? È un'avventura della memoria che si può tentare, consapevoli che si potrebbero aprire vasi di Pandora non sempre benvenuti. In Romanzo senza umani, la scrittura di Paolo di Paolo – pluripremiato e prolifico scrittore quarantenne che collabora con varie testate fra cui La Repubblica e la Rai, dove conduce il programma La lingua batte – è, lo dico non a caso collegandomi proprio alla trasmissione, piacevolmente varia, agile, mai noiosa con le pagine che si voltano quasi da sole. Originale poi la trovata di lasciare sospesa la frase di chiusura di un paragrafo, frase il cui proseguimento diviene il titolo del paragrafo successivo. Bello questo Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo, contento d'averlo letto.




L’autore:


Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Ha pubblicato i romanzi Raccontami la notte in cui sono nato (2008), Dove eravate tutti (2011; Premio Mondello e Super Premio Vittorini), Mandami tanta vita (2013; finalista Premio Strega), Una storia quasi solo d’amore (2016), Lontano dagli occhi (2019) Premio Viareggio-Rèpaci, tutti nel catalogo Feltrinelli e tradotti in diverse lingue europee. Molti suoi libri sono nati da dialoghi: con Antonio Debenedetti, Dacia Maraini, Raffaele La Capria, Antonio Tabucchi, di cui ha curato Viaggi e altri viaggi (Feltrinelli, 2010), e Nanni Moretti. È autore di testi per bambini, fra cui La mucca volante (2014; finalista Premio Strega Ragazze e Ragazzi) e I Classici compagni di scuola (Feltrinelli, 2021), e per il teatro. Scrive per “la Repubblica” e per “L’Espresso”.


“…scriverei anche se non scrivessi davvero, perché scrivo nella testa, annoto sensazioni in forma di parole possibili, fermo nuvole, pensieri, o semplicemente il volto di qualcuno, che è già l’inizio di una storia. Ho scritto molti più racconti e romanzi nella testa, ogni giorno, di quelli finiti su carta. Ho scritto per capire, per ricordare, per vedere le cose da un’altra prospettiva. Ho scritto soprattutto per ricostruire un mondo scomparso, o anche solo una città, una strada, l’angolo di una casa, solo per vedere ancora vivo qualcosa che il tempo aveva sommerso. Ho scritto, quasi sempre, proprio per far rivivere qualcuno, persone del passato, anche del mio, o per un me stesso che avevo lasciato per strada ad aspettare. L’ho ripreso per mano e l’ho accompagnato fino alla gelateria, perché era fermo lì e aveva una tremenda paura dei cani. Gli ho fatto da fratello maggiore. Ho scritto per tante altre ragioni e molte le ho dimenticate. A volte ho scritto per amore, per nostalgia, per seguire una musica, per suonarla con le parole. Ho scritto anche per dimenticare, ma non ci sono riuscito. Ho scritto per iniziare un dialogo con qualcuno, per muovere un’idea, per difendere un’idea, per guarire, e per ammalarmi di nuovo. Ho scritto perché c’era una storia che valeva la pena raccontare, come si fa in treno con uno sconosciuto. Ho scritto per fare delle domande senza avere nemmeno l’inizio di una risposta. Ho scritto per lasciare le domande aperte come porte spalancate. Ho scritto, talvolta, come si prega, e come si chiede a qualcuno di restare”.

(da Vite che sono la tua, 2017)


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