Tullio Avoledo
Come si uccide un gentiluomo
Neri Pozza
Recensione di Roberto Maestri.
Il telefono squilla.
La Jaguar non ha viva voce.
Vittorio deve cercare il cellulare nella tasca della giacca.
Preme il tasto senza guardare.
«Pronto?»
È in questo scampolo di righe che si può comprendere di che pasta sia fatto il protagonista dell’ultimo romanzo di Tullio Avoledo Come si uccide un gentiluomo, un romanzo che denota tutto l’amore che l’autore nutre per un territorio, quello del Friuli montano spesso colpevolmente tenuto ai margini di una nazione, l’Italia, troppo occupata a mettere sotto i riflettori zone che fanno più tendenza, mentre la periferia, talvolta scomoda, viene sistematicamente ignorata.
Un personaggio, l'avvocato Vittorio Contrada, fuori dal tempo e dalle convenzioni, che non viaggia in autostrada e che ha rinunciato a una vita comoda in cui si affrontano cause sempre vincenti, per sposare lotte su temi ambientali al limite del donchisciottesco.
Ed è in questo scenario che si svolge buona parte dell’ambientazione di questo romanzo fra una Milano frenetica che rimpiange i tempi in cui la si poteva dare a bere, e le zone alpine poste in quell’angolo di Nord Est, luogo di frontiera con paesi di cui si parla poco, poveri di cronache intriganti come sono. Territori fieri e gelosi della propria integrità, vallate e montagne in cui la natura scandisce ancora il tempo di chi le vive, con i boschi, i sentieri impervi, i torrenti e i fiumi che politici e speculatori vorrebbero imbrigliare per i propri loschi fini.
Lo studio Almariva, Fuentes e Contrada si trova suo malgrado implicato in una causa che nessuno gli avrebbe affidato, spinto dalla sollecitazione che un personaggio riemerso da un passato fumoso, consegna al nostro protagonista e alla sua socia. Da quel momento i due si troveranno ad affrontare situazioni al limite del possibile, dove i soggetti coinvolti sono sempre più inafferrabili e confusi, in un ambiente in cui la sopravvivenza per due cittadini incalliti come loro, risulta quantomeno difficoltosa e scomoda.
«Una volta, alla Biblioteca Guarneriana, giù a San Daniele, ho sentito il direttore chiedere a un gruppo della Lega in visita se sapevano di tutte le invasioni che questa terra ha avuto: avari, unni, longobardi... E poi gli ha detto: "Sapete dov'è finita, tutta questa gente, tutti questi popoli diversi?”
[…]
«"E finita qui, quella gente" ha detto. "Siamo noi. Siete voi. È finita nei nomi dei posti in cui viviamo e che diciamo così orgogliosamente nostri". E gli ha spiegato che un certo nome di un paese o di una certa frazione veniva dal latino, e un altro dall'avaro, o dal germanico. Gli ha fatto una lezione contro il razzismo, a quella gente».
Questa in sintesi l’ambientazione di questo nuovo romanzo di Avoledo che, come sempre, riesce a coinvolgere il lettore in vicende da cui è difficile non appassionarsi, ma mai come questa volta, il legame dell’autore verso una terra e un fiume, il Tagliamento, che sono l’humus nel quale l’autore stesso è cresciuto e vive, emerge in maniera molto forte, mettendo in risalto l’attaccamento che lui stesso prova e di cui non fa mistero, un'attenzione per una terra fragile ed essenziale negli equilibri di un eco sitema ma anche densa di storia e cultura per le popolazioni che la abitano.
Un romanzo che è un atto d’amore e di denuncia contro la cecità di alcuni nei confronti di un territorio che riguarda tutti noi, anche se viviamo in luoghi lontani, perché si sa che in natura tutto è correlato e ciò che accade a monte prima o poi si ripercuote a valle, in un ciclo infinito di ricorsi sempre uguali e sempre diversi, come quel fiume in cui è possibile bagnarsi una volta sola.
L’autore:
Tullio Avoledo è nato a Valvasone (Pordenone) nel 1957. Ha esordito nel 2003 con il fortunatissimo L’elenco telefonico di Atlantide (Sironi e poi Einaudi) e ha pubblicato romanzi per Sironi, Einaudi, Chiarelettere e Marsilio. Ha vinto il Premio Scerbanenco 2020 con Nero come la notte (Marsilio 2020) e ha partecipato al «Metro 2033 Universe», una narrazione collettiva internazionale sul mondo post catastrofe nucleare immaginato dallo scrittore russo Dmitry Glukhovsky. È tradotto in varie lingue.
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