Pino Roveredo


Ci vorrebbe un sassofono


Editore Bombiani







“Quando suona un sassofono le guerre si scordano di scoppiare, i temporali di urlare e le disperazioni si dimenticano di addolorarsi.”

Ci sono libri che andrebbero letti con un sottofondo musicale e questo romanzo breve, poco più di 150 pagine, di Pino Roveredo è uno di questi.

Meglio se il sottofondo risuona delle note del sax tenore di un John Coltrane o del sassofono baritono di Gerry Mulligan, a sottolineare il dolore che trasuda dalle pagine che raccontano la storia di Claudia, delle sue parole che scorrono in un monologo senza fine, mentre si trova accanto al letto dove l'ex marito, dal quale è solo separata ma non divorziata, particolare essenziale nell'economia della storia, versa in gravi condizioni.

Un dolore che non è dovuto tanto per le condizioni disperate del consorte, quanto per la vita che è trascorsa accanto a quell'uomo mentre avrebbe potuto essere altro, se solo alcune circostanze, non ultime determinate scelte fatte da lei stessa, fossero state diverse. Una vita di tradimenti e bugie, di violenze fisiche e morali, per le quali una donna come Claudia porta il peso sentendosi vittima quasi responsabile di ciò che le è accaduto, compresa la mancanza di affetto di una figlia la quale non riesce a vedere i difetti di un padre idealizzato fino all'eccesso, ignara com'è delle reali dinamiche che esistevano nel rapporto di coppia dei suoi genitori.

A corollario delle dissertazioni di Claudia che parla sempre in prima persona, ci sono altre donne che sono entrate nella sua vita, dalla madre di lei che ha sopportato sempre sorridendo i tradimenti di un marito, il padre di Claudia, smarrito solo nell'attimo in cui si accorge della sua mancanza, o dell'amica assoggettata da un compagno possessivo e violento che trova il coraggio della disperazione in una ribellione che distruggerà le vite di entrambi, o della prostituta che rifiuta il concetto di felicità in nome di una libertà senza rimpianti.

Tante storie di donne raccontate da un uomo, l'autore, il quale riesce a mettersi nei panni sconvenienti di queste donne offese, svilite in ruoli dove i maschi sembrano essere preda più dei loro organi riproduttivi che non di un cuore o di un cervello, prigionieri di una sete di possesso che li porta a instaurare relazioni malate e costruite sull'inganno.

Non lascia scampo a nessuno Roveredo, se non a una figura anomala, quello di un uomo che la protagonista ha incontrato casualmente un giorno sul treno e le cui lacrime sembrano offrire una possibilità per dire che non tutto è perduto e che c'è ancora spazio per la nostalgia.

Un romanzo breve che si legge d'un fiato, non solo per la sua brevità ma anche per il pathos che cattura chi lo legge, facendo entrare il lettore in empatia con il desiderio di sedersi anche solo per un momento, su una sedia accanto a quel letto di ospedale, anche solo per mettere una mano sulla spalla di Claudia, una donna che nonostante tutto, riesce a non crollare, forte della consapevolezza del suo essere.






Pino Roveredo è nato a Trieste nel 1954. Ha scritto racconti, romanzi, testi teatrali. Si è sempre occupato degli ultimi, dai reclusi per decenni negli ospedali psichiatrici ai tossicodipendenti; è stato garante dei detenuti del Friuli-Venezia Giulia. Dopo l’esordio del 1996 con Capriole in salita, ha vinto il Premio Campiello nel 2005 con Mandami a dire. Per Bompiani ha pubblicato anche Caracreatura, Attenti alle rose, La melodia del corvo, Mio padre votava Berlinguer, Ballando con Cecilia, Mastica e sputa e Tira la bomba.

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