Loriano Macchiavelli

Strage

Giulio Einaudi Editore






Ci sono libri che possono fare ancora paura, e il caso di Strage di Loriano Macchiavelli, è proprio uno di questi.

Pubblicato una prima volta nel 1990 sotto lo pseudonimo di Jules Quicher, alter ego svizzero dello scrittore con il quale Macchiavelli pubblica anche Funerale dopo Ustica sempre per Einaudi, il romanzo, che trae spunto dalla strage alla stazione di Bologna del 1980, ha trovato fin dai primi giorni dalla sua uscita più di un ostacolo sulla strada della pubblicazione al punto di essere ritirato dal suo stesso editore a seguito di una denuncia da parte di uno degli imputati della strage stessa il quale riteneva di riconoscersi in uno dei personaggi del romanzo.

Rimesso in circolazione questa volta con il vero nome dell'autore in occasione del trentennale della strage nel 2010, dopo che il libro fu scagionato con formula piena e dissequestrato, il romanzo ci offre in maniera chiara e precisa uno spaccato delle atmosfere che aleggiavano in quei giorni immediatamente successivi l'evento tragico che ha rappresentato l'apice una stagione di lutti e violenze nel nostro Paese.

Per chi lo ha vissuto e ne conserva memoria, quello della strage di Bologna è un evento che ha segnato uno spartiacque fra un periodo di violenza e il desiderio di ricerca della verità che ancora oggi, purtroppo, tarda a rivelarsi nella interezza, conservando ancora alcune nicchie oscure riguardo ai mandanti e alle coperture di cui gli autori materiali poterono godere.

Il romanzo, scritto magistralmente nel perfetto stile richiesto da una spy-story, si muove negli anfratti oscuri del complottismo stragista degli anni della cosiddetta strategia della tensione di cui forse, quella strage segna l'atto conclusivo. I protagonisti, frutto della fantasia di Macchiavelli, è bene ribadirlo, si muovono intrecciando e subendo spesso loro malgrado, trame e misteri che se pur non trovano riscontri concreti nei fatti accaduti, non sembrano discostarsi troppo dalle manovre che apparati deviati dello Stato avrebbero messo in atto in quella e in altre occasioni.

In questo modo il romanzo ha il pregio di contenere una duplice valenza: quella di ricordare a chi era presente in quegli anni gli avvenimenti che tanto hanno segnato la nostra memoria e al tempo stesso, indicare ai più giovani che quella stagione, pur così lontana nel tempo, potrebbe manifestarsi ancora nella nostra epoca, se dovesse abbassarsi l'attenzione verso i valori fondanti della nostra democrazia.

Il merito quindi dell'autore sta proprio in questo, nel mantenere viva, a distanza di anni quella memoria, quell'attenzione volta a rafforzare in quanti hanno a cuore una società più equa, quel sentimento di giustizia necessario a una pacifica convivenza.

Un romanzo che ha una valenza sociale e politica ma che allo stesso tempo si legge come una storia di spionaggio degna delle migliori tradizioni del genere.




Loriano Macchiavelli comincia con il teatro, prosegue quasi per caso con il genere “giallo”.
Scrive per fare contenta la moglie Franca. Mai gesto d’amore fu più fortunato, crediamo. Ricambiato dal fatto che l’intraprendente signora Franca raccolse il libro scritto al mare, durante una vacanza d’estate del 1973 in Spagna, ad uso esclusivo di lei ed inviò all’editore il manoscritto. Il primo giallo aveva per protagonista Sarti Antonio, sergente, poliziotto della Questura di Bologna. Un anno dopo, 1974, lo accolse Raffaele Crovi nella collana Calibro 90, per l’editore Campironi. Era Le piste dell’attentato. Da allora non si è fermato più. Ha pubblicato praticamente per tutte le collane di libri gialli d’Italia, compresa la collana capostipite del genere, I Gialli Mondadori, contribuendo sicuramente alla crescita e alla diffusione di quel genere letterario, passando attraverso tutte le esperienze e le sperimentazioni, rese possibili dal successo sempre più solido del poliziesco. E pensare che inizialmente era considerato un genere di serie B. Loriano Macchiavelli rivendica il merito di aver contribuito alla sua ascesa alla prima divisione. Successivamente si è anzi trovato, in veste di commissario tecnico-giocatore, alla testa di una vera e propria Nazionale Italiana degli scrittori di libri gialli, il Gruppo 13. Romanzi a fumetti, sceneggiature per la televisione, collaborazioni (Gianni Materazzo, Magnus, Otto Gabos) e scritture a quattro mani (Francesco Guccini e Sandro Toni) senza mai abbandonare il teatro d’impegno politico. Cuando à cobra fumou, del 2010, è l’ultima pièce in ordine di tempo.

Tignoso, ha voluto dimostrare che il romanzo poliziesco italiano aveva diritto di esistere tanto quanto quelli dei grandi scrittori stranieri e sbugiardare, come spesso gli è accaduto, critici ed editori.




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