SEVEN


SPLENDIDI REIETTI

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È un viaggio fantasmagorico nei ricordi, nella coscienza, di Tian Fushi, protagonista di questa interessante graphic novel, costellato di immagini lisergiche, vivide e assolutamente d’effetto, ciò che è racchiuso in “Splendidi reietti” dell’artista cinese Seven. Un viaggio, perciò, alla ricerca della propria identità che scaturisce da una domanda improvvisamente fuoriuscita, inaspettata, dalla bocca di un compagno di letto di Fushi: “Chi sono?”. Queste due parole si trovano così a colmare la stanza che li accoglie, a insinuarsi nella mente dello stesso Fushi, aprendo una crepa nella sua memoria dalla quale riemergono ricordi della sua vita.
Tian Fushi trascorre dunque la sua esistenza, piena di alcol, fumo, sesso, amici, divertimenti, spleen e disillusioni, ad Haimen, città costiera cinese nella provincia di Jiangsu. Pare una vita piena, la sua: incontra tanta gente, fa un sacco di cose. Eppure, a essere onesti, un vuoto pare riempirla, sembra le manchi qualcosa di essenziale.
In questa Haimen, il cui cielo al mattino presto evoca «una distesa di terrore grigio», destinataria delle sue invettive per farlo sentire un fallito, lo sfasamento provato da Fushi rispetto a un’esistenza che non gli concede ristoro alcuno e il cui groviglio pare non riuscire a sbrogliare, testimonia appunto la mancanza di qualcosa che credo di poter definire, in generale, serenità.
I ragazzi e le ragazze che costellano il mondo di “Splendidi reietti” vivono l’irrequietudine degli emarginati, dei reietti, di coloro che, dall’ambiente circostante, si vedono rivolgere solo indifferenza o incomprensione e sono ciononostante costretti a vivere, ad andare avanti, aggravati dal peso di essere ancora rivolti con lo sguardo al passato, la cui memoria ritorna come echi, a volte a tormentarli – da qui il titolo originale dell’opera che è “Echi di Haimen” (Haimende huisheng ‘海门的回声). E poi, per quante persone incontrino, per quante stanze da letto (o bagni o siti di incontri) frequentino, c’è la solitudine, la mancanza – un’altra! – di un legame profondo e pieno con qualcuno. Spaesati, soli, in cerca di sé stessi e bloccati nel passato, dunque: così si presentano Tian Fushi e i suoi amici.
Ho visto nei protagonisti di “Splendidi reietti”, in primis in Tian Fushi, dei fiori di loto non ancora sbocciati, in potenza. Per ammirarlo, infatti, dobbiamo prima guardare nel buio e nel fango, laddove si colloca la sua culla. Solo dopo il fiore di loto mostrerà tutto il suo splendore. E anche allora le sue radici continueranno ad affondare nel limo. Vedete? Anche nell’acqua limacciosa, in un luogo che facilmente il nostro sguardo potrebbe essere incline a rigettare, può nascondersi e trovarsi lo splendore…
Ma quest’opera affascinante, a tutti gli effetti uno stream of consciousness, proprio grazie alla storia dei protagonisti che la popolano, diviene ancora più apprezzabile se si considera il fatto che consente a Seven, pseudonimo da lui usato per proteggere la propria identità, di raccontarci altresì uno spaccato della sottocultura queer cinese che difficilmente trova spazio in modo diffuso a causa della politica di censura del Partito Comunista Cinese in merito a certe tematiche (come quelle relative al mondo LGBTQI+).
Leggendo delle vite di questi ‘splendidi reietti’, mi è tornato in mente, con la stessa immediatezza del riconoscere un volto familiare, un haikai di Matsuo Bashō in cui il grande poeta giapponese, di fronte a un cielo invernale, che non concede di osservare le stelle, rende le tenebre oggetto di ammirazione pari alla volta stellata, che usualmente si potrebbe vedere. E allora scrive:


Sul promontorio delle stelle

anche il buio va guardato

ci invita il canto del piviere


Leggendo delle vite di questi ‘splendidi reietti’, dunque, una volta di più mi è stato insegnato che «anche il buio va guardato» al pari delle stelle. “Splendidi reietti” racconta esattamente di questo buio da cui, sì, si vorrebbe fuggire, ma che va guardato per poter fare i conti con la propria esistenza, non necessariamente con esito positivo, per poter capire meglio chi si è, senza troppe illusioni. Certo, pure Tian Fushi vorrebbe fuggire da Haimen e dai ricordi a essa legati, ma è proprio guardando a questi dolorosi echi che giunge a capire che «in questa vita non andrò da nessuna parte»; e così, con l’estrema sincerità che deriva da questo viaggio intimo, arriva ad affermare: «poi all’improvviso ho capito che non avevo paura di soffrire o del passato, avevo paura di vivere».

P. S.: La traduttrice è Martina Caschera.



Seven, pseudonimo di un autore cinese che vive a Honk Kong per sfuggire alla censura.


Autore Matteo Celeste.


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