Giuseppe Lupo

Gli anni del nostro incanto

Universale Economica Feltrinelli




C'è un momento nella storia di ognuno in cui ha il sospetto che tutto prenda una certa direzione, come la Vespa della foto. In questo momento, per i miei genitori, è stato quando hanno deciso di sposarsi, darsi coraggio l'un l'altra nel verde della giovinezza, viaggiare insieme verso l'enigma degli anni a venire e non voltarsi più indietro.”

È un racconto molto delicato, quasi minimalista quello di Giuseppe Lupo ne Gli anni del nostro incanto, un racconto che al suo interno racchiude storie simili a quelle di tante famiglie italiane fra gli anni '60 e '80, in questo caso scandite dalle musiche di quel tempo che tanto ha significato per la Società italiana. Ma può un romanzo contenere una colonna sonora che accompagni la narrazione, come fosse un film o una fiction televisiva? La risposta è senz'altro sì e lo è soprattutto per questo romanzo che risulterebbe privo di qualcosa se non ci fossero le musiche a scandire il tempo che passa sui personaggi che vivono fra queste pagine. E la colonna sonora che accompagna la storia di Louis e Regina, genitori di Vittoria, la narratrice in prima persona, va dai valzer e le mazurche di quel dancing sui navigli dove i due si sono incontrati sul finire degli anni cinquanta del Novecento, fino alle musiche dei film musicali dei primi anni Ottanta, con le febbri del sabato sera di John Travolta, ascoltate dalla figlia, nella sua stanza di adolescente.

Protagonista della vicenda è il rapporto madre figlia a ruoli invertiti, a causa di una inspiegabile amnesia che colpisce la madre, le cui cause sembrano inspiegabili. Sarà compito di Vittoria, su sollecitazione dello staff medico della clinica in cui la madre è ricoverata, cercare di ripercorrere la loro vita famigliare, nel tentativo di risalire al motivo di quel trauma sconosciuto che pare abbia resettato la memoria di Regina, fino a farle perdere del tutto il contatto con la realtà circostante.

...entrambe ci accorgiamo che la memoria è un lenzuolo più delicato del lino e basta davvero uno strappo per rovinarla, un movimento sgraziato, un'insicurezza nella trama del tessuto e tutto si guasta per sempre.”

È dunque un viaggio a ritroso quello compiuto dalle due donne, nei giorni in cui l'Italia calcistica sta vivendo il sogno della vittoria ai mondiali dell'82 e in cui Paolo Rossi e il Presidente Pertini fanno da sfondo a un percorso che era partito nella Milano che cercava di risollevarsi dalle macerie della guerra, provando a darsi un'identità industriale e di sviluppo economico che pareva essere alla portata di qualunque cittadino. Saranno gli anni degli acquisti degli elettrodomestici a rate, dove le cambiali diventavano compagne inseparabili di molte famiglie italiane che provavano così ad uscire da una condizione di povertà indotta dalla guerra da poco conclusa, gli anni di un'epoca sbarluscenta, per dirla con le parole di Regina, ragazza veneta che va a Milano per fare la parrucchiera e incontra Luigi o Louis, come amerà chiamarlo lei, un giovane del sud che sta facendo il servizio militare a Milano e che per amore, si stabilirà nella città meneghina, per stare vicino alla sua Regina, facendo l'operaio e sognando i prodigi che la meccanica e la tecnologia di quegli anni faranno arrivare l'uomo fin sulla Luna.

Sono però anche gli anni in cui in Italia si accentuano i conflitti sociali e la violenza comincia a dare i suoi effetti sulla quotidianità di un Paese che fatica a trovare un proprio equilibrio, fra tensioni e speranze di una vita migliore, anni in cui il lavoro, le relazioni e la cronaca cittadina si mescolano e si influenzano a vicenda.

«Adesso ho capito che ci siamo venuti a fare, io e te, qui a Milano.»

Mamma seguiva a malapena il filo, sopportava, pazientava.

«Proprio vuoi saperlo, Regina?»

«Son qui Louis» rispondeva mia madre.

Mio padre cercava la solennità. Si fermava, aspettava che mia madre sospendesse il respiro per ascoltare.

«Proprio vuoi saperlo?»

«Son qui» ripeteva mia madre.

E mio padre alzava le braccia, come quando stava per pronunciare parole eroiche: «Siamo venuti a Milano per essere all'altezza di questi anni. Tu capisci? All'altezza di questi anni.»

È una piccola storia quella raccontata in queste pagine, ma come tutte le piccole storie contribuisce a creare l'insieme di tutte le storie che altro non sono che la cronaca di una realtà di cui facciamo tutti parte, e che ci permette di mantenere un legame fra chi ha vissuto quell'epoca e chi l'ha sentita solo raccontare da nonni o genitori.


Recensione di Roberto Maestri.




Giuseppe Lupo (Atella, 27 novembre 1963) è uno scrittore e saggista italiano. Dopo l'infanzia e l'adolescenza trascorse in Basilicata, si è trasferito in Lombardia dove insegna letteratura italiana contemporanea all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e di Brescia. A partire dalla sua tesi di laurea, dedicata alla figura del poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli, i suoi interessi di scrittore e di studioso si sono rivolti verso le suggestioni della modernità, il racconto delle trasformazioni antropologiche del Novecento, l'indagine sulla civiltà industriale e post-industriale. Ha pubblicato diversi romanzi, con i quali ha vinto numerosi premi letterari, fra cui il Viareggio, il Selezione Campiello, il Mondello, l'Alassio-Centolibri, il Giuseppe Dessì, il Vittorini, il Frontino-Montefeltro. Nel 2018 dal suo romanzo Gli anni del nostro incanto è stata tratta una pièce dalla compagnia Teatro Minimo di Basilicata. Ha pubblicato saggi e curato opere di Libero De Libero, Franco Fortini, Ottiero Ottieri, Mario Pomilio, Leonardo Sinisgalli, Elio Vittorini. Collabora alle pagine culturali del Sole24Ore, dirige la rivista Studi Novecenteschi e la collana Novecento.0 per Hacca Editore.

Con lo stesso Gli anni del nostro incanto ha vinto nell'agosto 2018 il Premio letterario internazionale "Viareggio Répaci. (Fonte Wikipedia).


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