Sàndor Màrai

La donna giusta

Adelphi



Tre punti di vista diversi sulla stessa storia, tre modi di guardare la vita, di immaginare, di progettare, di reagire agli eventi, alcuni tragici, come lo scoppio della guerra.

In tutte e tre le parti del romanzo, l'autore utilizza l'involucro di un narratore che racconta di sé parlando con un'amica o un amico. Non è un dialogo, nel senso che manca del tutto interlocuzione tra il personaggio narrante ( ogni volta lo conosciamo, essendo parte della storia) e chi ascolta ( che invece rimane del tutto ignoto): a volte le domande del secondo vengono ripetute dal primo, al chiaro scopo di farle conoscere al lettore e dar modo di formulare una risposta.

Pur dovendosi riconoscere la grande bravura di Marai nel ricostruire tre vite ( la moglie, il marito, la donna amata) attraverso questa forma, non semplicissima, mi è parso che le tre parti non siano tra loro del tutto coese. A fronte della prima, molto più discorsiva e ricca di fatti, le altre due, specie la terza, mi sono apparse meno "nella storia" e una sorta di occasione, che l'autore sembra essersi riservato, per esprimersi su alcuni temi, soprattutto su quello delle diseguaglianze tra grandi ricchezze e vere povertà e sui conflitti che ne scaturiscono.

"Era un tipo che si offendeva facilmente. Sì, si sentiva perennemente offeso. Io questo non sono mai riuscita a capirlo, perchè vengo da un ambiente povero. E' come se ci fosse una specie di complicità tra i veri poveri e i veri grandi signori ... non c'è modo di offendere nessuno di loro. Mio padre, che era un cavameloni scalzo della Nyirség, non si offendeva per nulla al mondo, come il principe Ferenc Rakoczi" .

L'epilogo, poi, mi è parso un romanzo nel romanzo, nel senso che si tratta molto più da vicino della guerra, attraverso gli occhi, questa volta, di un soggetto narrante - un musicista fuoriuscito dal Paese- estraneo ai tre ma legato a uno di loro.

Frammiste alla vicenda dei tre personaggi, che di per sé non presenta peripezie particolarmente articolate, riflessioni di spessore antropologico, filosofico, psicologico, politico.

"E' come se il fuoco della gioia si fosse spento sulla terra. A volte, per qualche istante, qua e là, arde ancora. In fondo all'animo umano vive il ricorso di un mondo felice, solare, giocoso, nel quale il dovere è al tempo stesso divertimento, e ogni sforzo è gradevole e sensato. Forse i greci, ecco, loro saranno stati felici. (...) Noi, invece, non viviamo in una vera cultura, la nostra è una civiltà di massa, meccanizzata ed enigmatica. Tutti hanno la loro parte, ma nessuno ne trae vera gioia. (...) Se per mestiere avessi la possibilità di rivolgermi alla gente ... sai, se fossi un sacerdote, un artista, uno scrittore, ... implorerei ognuno di convertirsi alla gioia, inciterei tutti a dimenticare la solitudine, a farla svanire. Non è una questione sociale. Si tratta di un'educazione diversa ,di un risveglio delle coscienze" .

Scrittura complessa e ricca.

Recensione di Jo March.





Sándor Márai, nato Sándor Károly Henrik Groschenschmied de Mára, è stato uno scrittore e giornalista ungherese naturalizzato statunitense. La sua fama è legata in particolare al romanzo Le braci del 1942 e L'eredità di Eszter, pubblicato nel 1999.

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