Chiara Natoli
IRON LOTUS
A CYBERPUNK SONG
Le interviste di Clarisse
A cura di Fabiana Redivo.
È difficile trovare notizie in rete riguardo a Chiara Natoli, autrice del romanzo IRON LOTUS - a cyberpunk song che si è classificato secondo ex aequo al Trofeo Cassiopea 2025. Ho avuto la fortuna e il piacere di conoscerla di persona e questo mi ha concesso un piccolo vantaggio. Chiara è una persona intelligente, gentile e riservata, mi è piaciuta subito a pelle. Ci siamo fatte una bella chiacchierata davanti a un dolce e una bibita mentre le consegnavo la targa del Cassiopea. Ho scoperto così che si sta laureando in lingue orientali, che ha una vera e propria passione per il Giappone, che ha studiato sceneggiatura e lavorato per alcune produzioni cinematografiche. Ma passiamo all’intervista.
Iron Lotus ha un’ambientazione cyberpunk davvero spettacolare, la puoi “vedere” leggendo. Cosa ti ha spinta a esplorare questo genere letterario?
Tutto è iniziato da ragazzina con il gioco di ruolo Cyberpunk 2020 che mi ha fatto scoprire un mondo vastissimo fatto di libri, fumetti, videogiochi, film ecc. Credo che la cosa che più mi ha attirato sia stata la combinazione tra l’estetica scintillante e la zona grigia in cui si muovono le storie all’interno di questo genere. È davvero difficile esprimere a parole l’attrazione che provo!
Per questo ho voluto creare un’ambientazione che avesse tutte le tipicità classiche del cyberpunk, ma con un tocco personale per piegarla a ciò che più mi piace. E ho cercato con tutta me stessa di rendere questo libro un’esperienza visiva, volevo che il lettore vedesse letteralmente quello che vedevo io, volevo che camminasse assieme a me per le strade di Antracity, che sentisse il ronzio dei neon o la musica di sottofondo nel bar. Perché è così che ho sperimentato il cyberpunk per la prima volta e credo sia l’unico modo per condividere un’esperienza simile.
Veniamo ai due coprotagonisti. Ian è un agente speciale con troppe cybermod, mentre Blu ha un fisico che le rigetta come corpi estranei. Una dualità interessante. Perché nel tuo romanzo l’integrazione tra uomo e macchina ha un costo se l’assenza di tale possibilità viene considerata un errore?
Il costo dell’integrazione uomo macchina è una delle tipicità del cyberpunk classico, ma la realtà è che tutto ha un costo nella vita. Se vogliamo essere migliori dovremo faticare per diventarlo, forse dovremo anche rinunciare a delle cose. Mi sembra che ci sia una generale tendenza a dimenticarlo.
Mentre se sei diverso da ciò che la società considera la norma, vieni effettivamente considerato un errore, qualcosa di “altro”, qualcosa che andrebbe corretto. E di questo invece ne abbiamo fin troppi di esempi evidenti.
Questa dualità è un punto fondamentale in Iron Lotus.
Due opposti, estremizzati, che si enfatizzano a vicenda per sussurrare delle domande. Quanto siamo disposti a sacrificare per essere ciò che siamo? Quanto riusciremmo a nascondere ciò che siamo realmente?
O per sussurrare delle riflessioni. Idolatriamo ciò che è iper-qualcosa, ma siamo in grado di vedere il sacrificio che vi si cela dietro? Rifiutiamo ciò che è diverso, ma se il fatto di essere diverso lo rendesse migliore, saremmo in grado di capirlo?
Direi che la risposta si trova in queste domande.
La musica rappresenta un filo conduttore molto potente, infatti Iron Lotus è il nome del gruppo musicale che intreccia i suoi spettacoli con le vicende di Ian e Blu. Insomma, hai creato una sorta di colonna sonora che sottolinea i momenti salienti. Perché questa scelta?
Ci sono diverse motivazioni. Innanzi tutto trovo che la musica sia una parte tipica e integrante del mondo cyberpunk, non riesco proprio ad immaginarmelo senza un buon concerto rock da qualche parte!
Poi devo confessare che la musica è fondamentale per i miei momenti creativi. Immagino, progetto e scrivo sempre con la musica nelle orecchie, mi aiuta a visualizzare. Scelgo con molta cura la colonna sonora di ciò che sto scrivendo. Nella mia mente si crea un vero e proprio film che devo poi trasporre in parole. Quindi mi è sembrato naturale inserirla e renderla il mezzo con cui trasmettere un messaggio.
Inoltre devo ringraziare un caro amico, cantante di professione (non so se posso fare pubblicità, ma anche senza fare nomi lui lo sa!), grazie al quale mio marito ed io abbiamo conosciuto la vita dietro le quinte di una band e che ha risposto a tutte le mie domande, anche quelle più strane, sia da casa che quando era in tour.
Sei una grande pianificatrice, te l’ho sentito dire in più occasioni. Leggendo il romanzo si prova la sensazione di un mondo interamente urbanizzato in modo quasi claustrofobico. Eppure il finale offre spazio alla speranza. Avevi già pianificato anche questo o è stata una decisione presa alla resa dei conti dei protagonisti?
Volevo dare della speranza anche dove non sembra possa essercene. Magari non è proprio quella che si voleva o come la si voleva, ma c’è. È un po’ come quando cammini per la città, guardi il marciapiede sporco, i palazzi un po’ mal tenuti, e poi per caso alzi lo sguardo e vedi delle merlature incredibili e se guardi ancora un po’ più su un cielo cristallino.
Non è stato “un caso” (passami il termine), pianifico tutto. Se lasciassi andare la storia a briglia sciolta non sarei in grado di gestirla.
Può sembrare una cosa fredda e forse poco creativa, ma non è così. Tutto nasce dall’ispirazione di un istante, vedo un’immagine che si imprime a fuoco nella mia mente. Più la guardo, più si aggiungono dettagli, parole, suoni, emozioni. Sono immagini che assaporo per molto tempo, finché un giorno capisco come finirà. E so che è il finale giusto, l’unico possibile, quando mi trasmette un’emozione tanto forte da inumidirmi gli occhi.
Una volta che ho l’inizio e la fine di una storia creo i personaggi, so tutto di loro, anche quello che i lettori non sapranno mai, solo così posso capire esattamente come agiscono e reagiscono, cosa pensano e cosa provano in ogni istante. Finito questo, creo la successione degli eventi e delle scene che porteranno alla conclusione.
È un lavorone davvero impegnativo, ma per me è quello che funziona, un po’ invidio chi si mette subito a scrivere davanti al PC.
Poi, dal punto di vista esterno, mi viene da ridere pensando a mio marito che cammina per casa e mi vede seduta alla scrivania o distesa sul divano a fissare il vuoto con le cuffie nelle orecchie per ore. Chiunque penserebbe che sono lì a non far nulla, ma nella mia mente sta succedendo di tutto.
Siamo infine giunti la domanda di rito: hai nuovi progetti in cantiere?
In effetti sì. Ce ne sono due abbastanza ben delineati da avere già un’agenda con appunti dedicata. Ma solo uno di questi è quello che sto veramente portando avanti al momento, anche se un po’ a rilento per via dei mille impegni che ho avuto finora.
È un altro cyberpunk, ambientato sempre ad Antracity, qualche tempo dopo Iron Lotus. L’idea è che si possa leggere come romanzo singolo, ma che dia qualcosa in più se hai letto anche il primo. Questa volta posso dire che la scena cardine da cui è scaturito tutto è proprio quella finale.
Iron Lotus è il mio romanzo d’esordio, e sperdo davvero di essere all’altezza del premio che mi avete assegnato creando un nuovo romanzo ancora migliore.
Grazie Chiara, chiacchierata davvero interessante. Aspetto con piacere il secondo romanzo ambientato ad Antracity e nel frattempo consiglio a tutti di leggere Iron Lotus.
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