Elisabeth Strout
Oh William!
Einaudi Editore
Ci sono libri che danno una sensazione di compiutezza e di “alta risoluzione” che diventa sempre più tangibile man mano che si procede nella lettura. In questo romanzo la costruzione perfetta rinvia a un ordine limpido e rigoroso che illumina dall’interno ogni scena e ogni sequenza; al contempo, ogni parola crea un mondo e la vita assume i colori della naturalezza. Con un tono che crea con il lettore un’atmosfera intima (come se si trattasse davvero di una confessione) Lucy Burton, ormai scrittrice affermata, vedova del suo secondo marito e madre di due figlie ormai adulte, decide di raccontare del suo primo marito, William. Tanti avvenimenti si sono avvicendati nella vita di entrambi, eppure i due continuano a cercarsi, ritrovando l’uno nell’altra consolazione e ristoro dalle angosce della vita. Lucy, nonostante i traguardi raggiunti e la sicurezza economica, si porta dentro le cicatrici della sua terribile infanzia; il disagio che ne consegue la rende invisibile e, al contempo, acutamente consapevole della disapprovazione sociale che aleggiava sulla sua famiglia. Entrambi si ritrovano per affrontare un viaggio nel Maine alla ricerca delle vere radici familiari di lui. Questo percorso servirà a lei come a lui a ritrovare il senso della circolarità della vita. Attraverso un itinerario doloroso che ha il sapore della scoperta, Lucy e William vedranno in una luce nuova le proprie storie familiari e i miti costruiti attorno per celare l’indicibile, proprio come nella tragedia greca. C’è un tempo per tutto, e il tempo di questo romanzo è la musica di quello che si è sempre saputo ma che non si è mai abbastanza pronti a riconoscere. Questo romanzo sussurra all’orecchio di ognuno che la vita è una continua rinegoziazione, che il cuore parla un linguaggio profondo e amaro, e che non si smette mai di scoprire cose belle e cose sgradevoli dentro di noi. In ogni pagina spira la consapevolezza di una pietas dolente ma talvolta anche venata da una sottile ironia, ogni personaggio appare a noi con le sue ragioni, che possono spesso anche ferirci. Oh, William, esclama spessissimo Lucy, in un mantra che concentra dentro se stesso la conoscenza antica, l’intimità, la consapevolezza dei tratti infantili di lui, la pena per i suoi dolori, ma è anche un modo per dire Oh, Lucy, e riconoscersi dentro una storia comune. In questo libro vivono tanti tipi di amore, grazie a cui ci sarà una piccola evoluzione, che poi verrà di sicuro messa in discussione da altri eventi. Ma non importa. Il tono usato da Strout è volutamente colloquiale, in modo da creare una dimensione quasi di dialogo interiore. Tuttavia, ogni parola ha subito un processo di scavo, ripulita di tutto il fango risalta come diamante restituendoci il più grande dono che la letteratura possa farci: parlare a ognuno di noi delle nostre ferite bisbigliandoci che possiamo farcela.
Recensione di Marianna Guida.
Elizabeth Strout è nata nel Maine ma vive a New York. Ha pubblicato i suoi racconti su «The New Yorker» e molte altre riviste. In Italia ha pubblicato, per Fazi editore, tre romanzi, Amy e Isabelle, Resta con me e I ragazzi Burgess, e la raccolta di racconti Olive Kitteridge, con cui ha vinto il Premio Pulitzer (2009), il Premio Bancarella (2010) e il Premio Mondello (2012). Dalla stessa raccolta di racconti è stata tratta una serie tv, prodotta dalla Hbo. Per Einaudi ha pubblicato Mi chiamo Lucy Barton (2016 e 2017), Tutto è possibile (2017 e 2018) e Olive, ancora lei (2020 e 2021).
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