Emmanuel Carrère
I baffi
Adelphi
Ecco un romanzo che lascia affascinati e interdetti, assolti nella lettura come se ci fosse una vera trama e nello stesso tempo distratti dal continuo chiedersi da quale parte sia la verità .
Tutto nasce da una decisione improvvisa del protagonista (di cui non sapremo mai il nome, per tutto il corso della storia): quella di tagliarsi i baffi che non radeva da più di cinque anni.
Da questa piccolo, insignificante progetto, realizzato con un certo timore, scaturisce l'incapacità di capirsi; Agnès, la moglie, non riconosce il cambiamento, non gli accredita realtà. La vita si capovolge, ciò che era vero non lo è più e ciò che appare falso diventa vero. Siamo trascinati nel gorgo del protagonista, tutta la narrazione è in "finta terza", l'autore si cala del tutto nel personaggio, ci riferisce le sue sensazioni, le sue paure e anche la sua rassegnazione. Noi "siamo" lui per 150 pagine del libro e con lui speriamo.
Io l'ho letto come una grande metafora dell'incomunicabilità tra esseri umani, in special modo tra due esseri umani che - dopo avere attraversato insieme un percorso di vita definendosi "coppia"- a un certo punto, con reciproco dolore, non si riconoscono più. Si cercano, provano a ignorare il problema e a far tornare tutto "in regola" ma chissà cosa accade a ciò che è perso chissà se i baffi perduti si riformeranno.
"Gli sarebbe piaciuto che di tanto in tanto, un leggero rumore gliene segnalasse la presenza, e, non sentendo niente, temette che fosse andata via, o che non esistesse più, nemmeno lei. Allora non sarebbe rimasto più niente" .
Mirabile la scena d'amore tra i due, una gran bella pagina di erotismo raffinato.
(...) ma allora che cosa credere? Che lui stesse diventando pazzo? Che lei stesse diventando pazza? Si stringevano più forte mentre osavano dirlo, si leccavano, sapevano che non dovevano smettere di fare l'amore, di toccarsi, altrimenti non avrebbero più potuto credersi (...)"
I due, coppia "perfetta" fino al giorno prima, sperimentano la certezza del credersi folli a vicenda, la spina che si insinua nelle relazioni e le annienta.
Bello, si legge come un giallo ma c'è di più.
Recensione di Jo March.
Emmanuel Carrère, scrittore, sceneggiatore e regista francese (n. Parigi 1957). Diplomatosi all’Institut d'études politiques di Parigi, ha esordito come critico letterario collaborando con le riviste Positif e Télérama e pubblicando nel 1982 il saggio Werner Herzog. Nelle sue successive prove letterarie C. sembra avere recuperato dalla sua formazione cinematografica uno sguardo che scandaglia il reale cogliendolo nella sua semplice terribilità, come nella biografia dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick Je suis vivant et vous êtes morts (1993; trad. it. 2016), e più ancora nel romanzo L'adversaire (2000; trad. it. 2000), tratto dalla storia vera di un uomo che stermina la famiglia per nascondere le menzogne su cui ha costruito la propria esistenza, e del quale ha firmato la sceneggiatura dell’omonimo film (2002) diretto da N. Garcia; o in D'autres vies que la mienne (2009; trad. it. 2011), testo corale sull’inesorabilità della vita e della morte che compiono il loro cammino prescindendo dalla volontà umana. C. ha sperimentato anche, questa volta forzando la chiave del reale per costruire un delicato ed estenuante gioco a due, il racconto erotico in forma di lettera (L'usage du monde, 2002; trad. it. Facciamo un gioco, 2004), attraversato da temi autobiografici come quelli che sotto altra forma echeggiano in Un roman russe (2007; trad. it. La vita come un romanzo russo, 2009), resoconto di un viaggio tra Francia e Russia il cui unico movimento è la ricerca delle origini dell’io narrante e in cui torna, come in L'adversaire, il tema della difesa accanita di un segreto indicibile. Scrittore di vite minuscole, C. ha abbandonato questa scelta narrativa nel 2011 con la stesura della biografia Limonov (trad. it. 2012), in cui ha ricostruito – riproponendo comunque i nodi tematici dell’identità, della finzione e della complessa costruzione di una rappresentazione del sé – l’avvincente vicenda umana del dissidente e scrittore russo, aggiudicandosi in Francia il Prix Renaudot e il Prix des Prix e riscuotendo anche in Italia grande successo; impianto narrativo profondo e complesso rivela anche il successivo Le royaume (2014; trad. it. 2015), poderoso volume sugli albori del cristianesimo e sulla vita di san Luca. Tra le sue altre opere: L'amie du jaguar (1983); Bravura (1984; trad. it. 1991); La moustache (1986; trad. it. 1987), da cui nel 2005 ha girato il film omonimo (L'amore sospetto, 2006); Hors d'atteinte (1988; trad. it. 1989); La classe de neige (1995; trad. it. La settimana bianca, 1996); il reportage sui migranti A Calais (2016; trad. it. 2016); l'antologia di articoli e saggi brevi pubblicati dagli anni Novanta Il est avantageux d’avoir où aller (2016; trad. it. 2017). Nel 2015 è stata edita in Italia sotto il titolo Emmanuel Carrère, fra cinema e letteratura una selezione degli articoli pubblicati dallo scrittore tra il 1977 e il 1986 sulla rivista Positif, in cui è compiutamente documentata la sua densa attività di critico cinematografico. Nel 2020 C. ha diretto e sceneggiato la pellicola cinematografica Le quai de Ouistreham, tratta dall'omonimo romanzo-inchiesta sul precariato di F. Aubenas (2010; trad. it. La scatola rossa, 2011), cui ha fatto seguito la direzione del film Ouistreham (2021; Tra due mondi, 2022); è del 2021 anche il suo atteso ritorno alla scrittura con l'intensa narrazione autobiografica pubblicata sotto il titolo di Yoga (trad. it. 2021). (Fonte Treccani.it)
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