Ray Bradbury

Paese d’ottobre

Oscar Mondadori



Durante la mia breve e burrascosa carriera di lettore domenicale, mi sono imbattuto in due misteri editoriali che tuttora ritengo irrisolti e irrisolvibili.

Primo: la ragione per cui il genere della raccolta di racconti fatichi a radicarsi nel mercato librario italiano con la stessa profondità del romanzo. Una peculiarità che si palesa ancor più inspiegabile se si getta lo sguardo oltre i confini del Belpaese, un porto franco nel quale gli specialisti della composizione breve godono di seguito e notorietà quantomeno equivalenti a quelli dei pilastri della tradizione romanzesca; penso a nomi del calibro di Edgar Allan Poe, Alice Munro, Raymond Carver, Jorge Luis Borges, tutti autori che, pur apprezzati romanzieri, ritrovano nella narrazione sintetica la propria dimensione ideale ed inimitabile.

Secondo: provate ad entrare in libreria e chiedere delle opere di gioventù di Ray Bradbury. Sarà più probabile incrociare un leocorno che disquisisce su Liebniz che tornare a casa con il sacchetto pieno. In tutta onestà, lo scorso anno Mondadori ha tentato di rimediare al malfatto ristampando “L’estate incantata” e “Il popolo dell’autunno”, un nobile gesto che non cancella l’onta di aver negato al pubblico certi, indiscutibili capolavori per decenni.

Dalle nostre parti, la combinazione mortifera tra queste due incognite ha dato adito a un fastidioso fraintendimento circa l’impatto letterario di Ray Bradbury o, forse peggio, a un ingiustificato ridimensionamento del talento del Genio dell’Illinois, relegato (si fa per dire) a precursore di quella visione della narrativa fantascientifica che vuole stregare il lettore con i ricami della penna prima che con i voli dell’immaginazione. Un discreto smacco per chi ha avuto l’onore di veder intitolato un cratere lunare a una sua opera, “L’estate incantata” (titolo originale: “Dandelion Wine”): una raccolta di racconti adolescenziali, per l’appunto, che ha tutt’altro a che vedere con alieni e supernove che esplodono nella galassia.

In questo contesto, si innesta “Paese d’Ottobre”, antologia che raccoglie una serie di racconti fantastici scritti da Bradbury tra il 1943 e il 1954, edita in Italia nel 1975 e attualmente disponibile nel catalogo Oscar Mondadori. Il leitmotiv, l’anello di congiunzione tra i diciannove pezzi, consiste nello stallo che prelude al cambiamento, allegoricamente e magistralmente impersonificato dal mese di ottobre, punto di rottura tra estate e inverno, luce e ombra, speranza e disillusione. E allora, sul sottofondo costante dell’instabilità incisa in ciascuno dei protagonisti e tra ambientazioni di provincia ruvide e degradate, l’abitudine si mescola alla morte nell’hotel di un paesino del Messico, due ragazzini consumano un primo amore inattaccabile persino dal tempo, nella latta di un barattolo fermenta l’anima di un tormento ostile. Intese sconvolte. Graffi del passato. Sul palato il sapore salmastro dell’inevitabile, pungente e agrodolce come il rimpianto. Il tutto servito da una prosa quanto mai immaginifica e colta, visiva, quasi tattile, che pochi come Bradbury riescono a mettere a servizio delle emozioni del lettore senza scadere in inutili piroette accademiche. Un libro che stupisce e colpisce, punge e affonda, rassetta e assilla, un po’ come un acquazzone in ottobre che non chiede il permesso per inzuppare i tuoi piani. Aggiungi un camino acceso, un calice di vino nuovo, un pomeriggio piovoso, un violino che mugola e allora sì, viene quasi spontaneo dirlo: che sia benedetto ottobre.

La traduzione è di Renato Prinzhofer.

Recensione di Lorenzo Garzarelli.





Ray Bradbury, all'anagrafe Raymond Douglas Bradbury (Waukegan, 22 agosto 1920 – Los Angeles, 5 giugno 2012), è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense, innovatore del genere fantascientifico. Nacque a Waukegan, nell'Illinois, il 22 agosto del 1920, figlio di Leonard Spaulding Bradbury, un operaio elettrico statunitense di origini inglesi, e di Esther Bradbury (nata Moberg), una casalinga svedese. Nel 1934, durante la Grande depressione, a causa della quale il padre rimase disoccupato, si trasferì con la propria famiglia in California, dove scoprì il mondo della fantascienza, tanto da iniziare a scrivere alcuni racconti sulle riviste del settore. Tra le sue prime opere si contano anche racconti polizieschi e noir.

Nel 1950 raccolse in un unico volume le sue Cronache marziane, che ottennero un vasto successo internazionale. L'anno successivo seguì il romanzo breve Gli anni del rogo (The Fireman) sulla rivista Galaxy Science Fiction, espanso nel 1953 nel capolavoro per cui è maggiormente ricordato, Fahrenheit 451, una sorta di elogio alla lettura ambientato in una società distopica, da cui fu tratto un film omonimo diretto da François Truffaut.

Negli anni successivi Bradbury intraprese la carriera di sceneggiatore cinematografico, iniziata con Moby Dick, la balena bianca di John Huston, senza però dimenticare la sua carriera di romanziere. Si ricordano infatti Il grande mondo laggiù, Io canto il corpo elettrico!, Paese d'ottobre, Il popolo dell'autunno, Viaggiatore del tempo, l'ambizioso giallo Morte a Venice e il più leggero Il cimitero dei folli e Le auree mele del sole.

Nel 2006 è stato insignito del titolo di duca di Diente de León (un riferimento al romanzo Dandelion Wine) dal sovrano del Regno di Redonda. Negli ultimi anni della sua vita si dimostrò sfavorevole ai libri in formato elettronico, tanto da impedire che le proprie opere venissero pubblicate in forma digitale. Solo nel 2011 ha consentito di pubblicare in formato elettronico il suo romanzo di maggior successo, Fahrenheit 451, sostenendo comunque di preferire il formato cartaceo.

È morto all'età di 91 anni il 5 giugno 2012 a Los Angeles, nella villa dove si era ritirato.


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