William Golding
Il signore delle mosche
Mondadori
Un gruppo di studenti inglesi sta volando in aereo quando avviene un incidente e naufragano in un'isola deserta, dove muoiono gli adulti. Col tempo i bambini creano una sorta di società in cui ognuno ha il suo compito: chi va a cacciare i maiali, chi costruisce le capanne per ripararsi dalle piogge, chi prova a dettare delle leggi da rispettare ma la cosa più importante è quella di mantenere acceso il fuoco di modo che se dovesse passare una nave essi possano essere recuperati e salvati. Ma col tempo vedremo che i ragazzi diventeranno sempre più selvaggi fino a tristi epiloghi.
L'autore William Golding, Premio Nobel per la letteratura nel 1983, ha creato, con questa opera, una sorta di esperimento sociale, una sorta di Grande Fratello coi bambini: cosa potrebbe succedere se dei bambini ben educati improvvisamente si ritrovano da soli, senza adulti e quindi senza regole, in un'isola deserta e devono provvedere ai loro bisogni primari? E Golding sembra risponderci così: andrà male, molto male, perché in questi bambini si risveglieranno i loro istinti animaleschi e diventeranno dei selvaggi. Quindi egli ci dice che il male è congenito nell'uomo. I bambini, quindi, hanno dentro di loro il germe della violenza che, in condizioni estreme come il vivere in un'isola deserta, si espande in tutta la sua bruttezza. Ed è quando ci viene descritta la testa del maiale ricoperta di mosche scoperta da Simone che l'autore ci descrive bene quel che intende dirci:
"Che idea pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere!" disse la testa di maiale. Per un po' la foresta e tutti gli altri posti che si potevano appena vedere risuonarono della parodia di una risata. "Lo sapevi no? ... che io sono una parte di te? Vieni vicino, vicino, vicino. Che io sono la ragione per cui non c'è niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?" La risata echeggiò di nuovo. "Ti metto in guardia. Sto per perdere la pazienza. Non vedi? Non c'è posto, per te. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Capito? Su quest'isola ci divertiremo. Dunque non provarci nemmeno, mio povero ragazzo traviato, altrimenti... " Simone si accorse che stava guardando dentro una gran bocca. Dentro c'era buio, un buio, che dilagava. "Altrimenti..." disse il Signore delle Mosche "ti faremo fuori. Capisci?"
A parlare è lo spirito del maiale, ovvero la violenza dei bambini che si era scatenata, uccidendo la povera scrofa incinta. E l'autore ci dice che la violenza chiama violenza, in un circolo vizioso che porterà solo morte e orrore. Il bene è solo un'utopia, la vera radice dell'uomo è la sopravvivenza che porta alla violenza e all'assassinio. Inutilmente Ralph prova a farsi rispettare, eletto all'unanimità "capo" della tribù dei bambini superstiti all'incidente e ben presto sostituito da Jack che incarna l'istinto di sopravvivenza più crudo e sanguinario. Sembra di rileggere ad un certo punto la storia di Caino e Abele, e sappiamo che non finirà bene. Golding ci dice e ce lo sottolinea spesso durante la lettura soprattutto nella seconda parte del romanzo, che ognuno di noi ha dentro un male "naturale", istintuale, e che può uscire fuori improvvisamente in determinate condizioni: fame, noia, odio, gelosia. La cosa terribile e bella allo stesso tempo è che ognuno dei protagonisti incarna un aspetto del nostro carattere: Ralph il raziocinio, Piggy la prudenza e la paura, Jack la cattiveria e l'istinto di sopravvivenza.
Non taccerei l'autore di pessimismo, come ho letto nella maggior parte delle recensioni, ma di realismo: nella realtà ognuno di noi se si dovesse trovare in quelle condizioni dei bambini non penso proprio che vivrebbe in pace e in armonia, o almeno lo farebbe i primi giorni, e poi...
Temo che molti di noi abbiamo paura del proprio lato oscuro, anzi, temono di ammettere che lo hanno dentro, ma vogliono nasconderlo. Golding lo scoperchia e ci mostra quanto sia putrido e orripilante. Basti pensare che l'umanità potrebbe facilmente tornare allo stato primitivo e regrediremmo sicuramente al nostro stato bestiale.
Recensione di Francesco Camagna.
William Golding, romanziere e saggista britannico, nato a St. Columb Minor (Cornovaglia) il 19 settembre 1911. La sua carriera letteraria inizia nel 1934 con Poems, una raccolta di poesie definita da lui stesso "cosa povera e modesta"; ma è nel 1954 che si afferma con Lord of the flies (trad. it., 1958), un romanzo divenuto ben presto un classico, tradotto in moltissime lingue e adattato per lo schermo da P. Brook nel 1963.
In quest'opera, che s'inserisce nel filone letterario inglese del mito dell'isola deserta civilizzata da uomini evoluti, G. capovolge il cannocchiale e ci presenta una storia dai risvolti tragici in cui parabola e mito, favola e storia, satira e utopia, filtrati attraverso una fitta, minuziosa ragnatela di metafore e simboli, gli servono per illustrare la condizione umana di oggi.
L'immanenza del male, l'irresistibile tendenza al peccato, la penosa grettezza dell'umanità, la degenerazione, il contrasto tra fede e scienza, tra fede e ragione, sono i temi che con varie sfaccettature, compassione e inquietudine tutte personali, si esplicitano anche nella produzione successiva: in The inheritors (1955; trad. it., Uomini nudi, 1958), spietata immagine dell'homo sapiens; in Pincher Martin (1956; trad. it., La folgore nera, 1963), storia di un individuo senza remore morali teso solo a carpire quanto di più caro posseggono gli altri e nello stesso tempo vittima del proprio egoismo e della propria cupidigia; in Free fall (1959; trad. it., 1963), racconto allegorico sulla libertà di scelta e il problema della comunicazione; in The spire (1964; trad. it., 1965), in cui la forza dell'ossessione mistica induce un sacerdote a costruire una guglia gigantesca annientando logica, affetti e vite umane.
Parabole del bene e del male sono anche il romanzo in tre episodi The pyramid (1967; trad. it., 1968), i tre racconti lunghi che costituiscono The scorpion God (1971), ambientati nella millenaria civiltà egizia (G. è anche uno studioso attento e appassionato di egittologia, letteratura greca, archeologia e musica), Darkness visible (1979; trad. it., 1984), e la trilogia Rites of passage (1980, Premio Booker; trad. it., 1982), Close quarters (1987) e Fire down below (1989). In The paper men (1983; trad. it., 1986), G., invece, si stacca dalle tematiche precedenti dandoci una satira sobria, sorvegliata ma sempre incisiva e spesso devastante, della grettezza e fossilizzazione del mondo accademico.
G. è anche autore di A moving target (1982), raccolta di saggi e conferenze; An Egyptian night (1985), diario di un viaggio in Egitto; The hot gates and other occasional pieces (1961), volume miscellaneo di articoli, conferenze e riflessioni; e The brass butterfly (1958), una commedia in tre atti.
Insignito del premio Nobel 1983 per la letteratura, G. ha ricevuto la laurea in lettere honoris causa in molte università, tra cui Oxford (1983) e la Sorbona (1983). (Fonte Treccani.it)
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