Romain Gary 

La vita davanti a sé

Neri Pozza



Nel variegato modo in cui uno scrittore può affrontare i temi dei quali ha intenzione di parlare, quello che credo essere tra i più complessi è il trattare temi profondi con leggerezza. Questo, inoltre, credo renda uno scrittore un grande scrittore. Ebbene, col libro “La vita davanti a sé” di Romain Gary si realizza quanto scritto sopra.

Con quest’opera ci troviamo a Belleville negli anni ’70. Momò, figlio di una prostituta, musulmano adolescente, vive al sesto piano di un edificio senza ascensore con diversi altri figli di prostitute, tutti – Momò compreso – affidati alle cure di una ex prostituta ebrea, Madame Rosa, un tempo giovane e bella ma ora sessantacinquenne imbruttita e ingrassata ma con un cuore enorme che ha pensato bene, una volta che l’età non le consentiva di portare avanti il proprio lavoro, di “aprire” un rifugio per questi bambini, la cui permanenza è garantita dal pagamento mensile di tale servizio da parte delle rispettive madri, sebbene Madame Rosa sia piuttosto poco fiscale nonostante i lamenti per i ritardi dei pagamenti stessi, che altrimenti, per questioni di morale civile, sarebbero stati condotti dagli assistenti sociali al brefotrofio.

È sul rapporto tra Momò e Madame Rosa però che l’opera si concentra. È indiscutibile infatti che, tra tutti i bambini che Madame Rosa accudisce, Momò sia il suo preferito. E Momò ricambia questo speciale affetto. Quando quasi tutti i bambini verranno affidati a famiglie che possono offrire loro un futuro, sarà Momò a non abbandonare Madame Rosa. A questo punto, non posso non dire alcune cose su Momò che mi hanno colpito. Nonostante sia così giovane, Momò è dotato di una maturità impressionante; certo, l’ambiente in cui cresce lo ha plasmato, non v’è dubbio; tutti gli incontri che Momò fa nel quartiere di Belleville con i personaggi eclettici che lo popolano, dal signor Hamil che lo confonde sempre col suo amico Victor (Hugo) ai forzuti fratelli Zaoum che lo aiuteranno senza riserve quando sarà necessario, lo hanno formato in un modo o nell’altro. Oltre questa sua spiccata maturità, Momò è però dotato di una tenera sensibilità che viene fuori proprio quando interagisce con Madame Rosa, che diventerà un po’ “toccata” a causa dell’età. La compresenza di maturità e sensibilità profonda fa sì quasi che ci sembra possa stridere, eppure dà carattere a Momò, lo trasforma in un personaggio tridimensionale, vero, reale. Non ci si può non affezionare a Momò (e neanche, secondo me, a Madame Rosa). Se poi si aggiunge che Momò è, per la sua età, carico di responsabilità dovendo prendersi cura di sé stesso, degli altri bambini, in quanto lui è il più grande, e di Madame Rosa quando non ci starà più con la testa, allora l’attaccamento che possiamo provare per questo bambino – eh, sì, è ancora un bambino! – è assicurato. Non bisogna credere – sarebbe inverosimile – che Momò sia una roccia, sia imperturbabile agli eventi che è costretto ad affrontare, però: Momò è più volte sul punto di cedere, più volte sul punto di «mandare tutti a fanculo», anzi, spesso lo fa; d’altronde, la realtà che vive ed esperisce sarebbe difficile da sopportare per chiunque. Non possiamo dunque biasimarlo. 

I modi in cui Momò interpreta, attraverso gli “occhi” della sua età e della sua “ingenuità”, i fatti, i discorsi fatti dagli altri, rendono poi le sue vicende spassose e allo stesso tempo commoventi. 

Il libro credo avrebbe potuto avere come sottotitolo “un’apologia del rispetto, della riconoscenza che si deve a chi ha fatto tanto per noi”. 

Ora, la vicinanza che possiamo provare per questi indimenticabili personaggi di questa indimenticabile opera non può che essere il riflesso della bravura di Romain Gary e del suo affascinante stile: il suo modo di scrivere crea una relazione diretta col lettore, quasi a volerlo rendere partecipe di ciò che accade al piccolo Momò, e ci riesce senza dubbio. 

Come ho detto più sopra, questa è un’opera che è pure molto profonda nel suo tono “leggero”, e vi trovano posto numerosi temi politici, credo cari a Romain Gary: il tema della multietnicità e della multiculturalità che non può essere tralasciato quando il luogo in cui si svolgono i fatti è Belleville, all’epoca, negli anni ’70, quartiere multietnico e multiculturale, la cui comunità, relativamente ai ceti sociali meno abbienti, ci viene presentata attraverso i personaggi più disparati ma accomunati tutti da una ristoratrice solidarietà che fa emergere una domanda dirompente: è poi così importante l’etnia per convivere degnamente?; il tema della morale civile sempre così bigotta e ipocrita, una visione che mi ha ricordato molto le posizioni di Christiane Rochefort che avevo potuto conoscere ne “I bambini del secolo”; ma c’è posto anche per temi di attualità come quelli dell’“accanimento terapeutico” e dell’“eutanasia”.

Leggendo “La vita davanti a sé” mi è sorta una riflessione: per quel poco che conosco della vita di Romain Gary, lo ho scorto nel suo romanzo impersonato da due protagonisti: Madame Rosa e Momò, rappresentanti aspetti diversi di Gary. Più esattamente, Madame Rosa mi sembrava rappresentasse il corpo di Romain Gary, nel suo costante declino, mentre Momò mi sembrava rappresentasse la sua coscienza, il suo testamento, le sue riflessioni proprio sui temi “politici” a cui più sopra facevo cenno. Non so quanto sia corretta questa mia riflessione, ma il libro mi ha dato questa impressione…

Cosa dire, dunque, infine? Leggetelo, è l’unica cosa che mi viene da dire. Momò ci mostra una cosa banale, sebbene spesso la banalità venga facilmente dimenticata: «La vita non è mica una faccenda per tutti quanti.» E se lo dice Momò, che ne ha passate tante, non si può che credergli.

Il traduttore è Giovanni Bogliolo.


Recensione di Matteo Celeste.





Romain Gary, pseudonimo di Roman Kacew (Vilnius, 8 maggio 1914 – Parigi, 2 dicembre 1980), è stato uno scrittore francese di origine lituana.

Ha usato anche lo pseudonimo di Émile Ajar.

Nato a Vilnius in Lituania figlio di Arieh Leib Kacew e di Mina Owczyńska, Romain Gary arrivò in Francia, a Nizza, all'età di 13 anni. Dopo avere studiato giurisprudenza a Parigi, si arruolò nell'aviazione e raggiunse la "Francia libera" (l'organizzazione di resistenza fondata da Charles de Gaulle) nel 1940 e vi prestò servizio nelle Forces aériennes françaises libres. Terminò la guerra come "compagnon de la Libération" e decorato con la Legion d'onore. Dopo la fine delle ostilità, intraprese una carriera di diplomatico al servizio della Francia. Negli anni cinquanta soggiornò a lungo a Los Angeles (California) come Console generale di Francia.

Fu il marito prima della scrittrice Lesley Blanch e poi dell'attrice americana Jean Seberg, dalla quale divorziò. Poco più di un anno dopo il suicidio di questa (settembre 1979, per ingestione di barbiturici), profondamente depresso per il sopraggiungere della vecchiaia, si diede la morte sparandosi alla tempia, dopo aver avuto cura d'indossare una vestaglia rosso vermiglio perché il sangue non si notasse troppo.

Dopo la sua morte si scoprì che, sotto lo pseudonimo di Émile Ajar, era l'autore di quattro romanzi la cui paternità era stata attribuita ad un suo parente, Paul Pavlovitch, il quale aveva sostenuto il ruolo di Ajar di fronte alla stampa e all'opinione pubblica.

Si aggiunga che Ajar e Gary non furono i suoi soli pseudonimi; aveva infatti anche scritto un romanzo poliziesco-politico, Le teste di Stéphanie, con il nome di Shatan Bogat e una allegoria satirica, L'uomo con la colomba, firmata Fosco Sinibaldi (sin- sostituisce gar- in Gar-ibaldi).

Grazie al suo spirito di mistificazione (Gary e Ajar significano rispettivamente "brucia!" e "brace" in russo; alcune frasi si trovano identiche negli scritti di entrambi gli autori), Romain Gary fu l'unico scrittore a ottenere due volte il Premio Goncourt. La prima volta nel 1956 con il suo pseudonimo usuale, per Le radici del cielo, e la seconda volta nel 1975 con lo pseudonimo di Émile Ajar, per La vita davanti a sé. Scrisse varie opere fantascientifiche.

Diversi suoi libri sono stati adattati per il cinema, in particolare Chiaro di donna (1979) di Costa-Gavras, con Yves Montand e Romy Schneider come protagonisti, e La vita davanti a sé (1977) di Moshé Mizrahi, che ottenne l'Oscar come miglior film straniero e con Simone Signoret, che ottenne il César come miglior attrice per il ruolo di Madame Rosa. Nel 2017 il regista francese Eric Barbier ricavò un film da La promessa dell'alba, romanzo autobiografico ispirato al rapporto dello scrittore con la madre. (Fonte Wikipedia)

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