Michela Marzano 


Stirpe e vergogna 


Rizzoli





Michela Marzano è una di quelle scrittrici che io amo particolarmente per il suo forte senso di moralità, per il suo perseguire quel senso di giustizia non solo nei fatti, ma anche nelle parole e negli scritti. In ciò che scrive traspare il suo essere, a volte molto fragile ed umano, a volte profondamente incorruttibile e puro. 

La Marzano è una filosofa ed insegna all’Università di Parigi. E’ stata eletta alla Camera dei deputati, nelle liste del PD . 

Si è battuta per la legge sulle unioni civili e per la possibilità di adottare un figlio da parte delle coppie omossessuali. Dal 2019 scrive per la Repubblica e dal 2020 per la Stampa. 

Una donna trasparente, combattiva, non sempre facile da comprendere per la sua intransigenza, per la sua inflessibilità nelle scelte e nelle opinioni. Il suo ricercare se stessa, mettendosi a nudo anche nei suoi libri, colpisce nel profondo, perché non si fa sconti mai, anzi al contrario si giudica impietosamente in un lungo processo di autoanalisi e di elaborazione dei propri “personali lutti”. 

Questa ricerca la porta a voler scavare anche nella sua storia familiare, alle “radici”, perché è solo così che si può venir a capo delle contraddizioni, delle sofferenze che fanno più male all’animo, perchè è nella famiglia che risiede parte di noi, di ciò che siamo o di ciò che possiamo diventare. 

E in questo libro, Michela non inventa nulla, ma ricostruisce la sua Storia, la Storia della sua famiglia, la Storia di suo nonno Arturo, scoprendo, dopo cinquant’anni di vita, che non solo era stato magistrato durante il periodo fascista, ma che del Fascismo aveva abbracciato la causa. 

“Non è più solo la verità del passato, è anche la mia personale verità che si sta di nuovo sbriciolando. Ogni volta che provo a mettere in fila i pezzi del puzzle della storia della mia famiglia, sprofondo all’interno di un labirinto di specchi, e la mia immagine mi torna addosso moltiplicata da un gioco di rifrazioni.” 

Ricercare la verità, quindi, è basilare per lei che è sempre stata dall’altra parte della barricata, che sente ora addosso il peso della vergogna e che vorrebbe quasi trovare tra i fogli e le carte che riscopre nella vecchia cantina delle cugine in Puglia, qualcosa che giustifichi le scelte di suo nonno. 

La ricerca va a rilento, perché mentre scrive, Michela si trova a vivere gli anni del lockdown che le impediscono di muoversi dalla Francia. 

E poi c’è quella difficoltà che nasce dall’accettazione del suo passato, c’è la continua riflessione sulle angosce del suo vivere: l’essere diventata zia del piccolo Jacopo la mette di fronte al suo non essere diventata madre, per paura di non saper essere un buon genitore, di non saper proteggere abbastanza un altro essere, insinuandole dentro anche la consapevolezza di aver perso, forse, qualcosa. 

E poi c’è sempre nel fondo quel rapporto strano, confuso, doloroso con suo padre, un padre ormai vecchio, sempre chiuso in sé, incapace di mostrarle affetto, da cui ha imparato quell’essere rigida e intransigente con se stessa. Una chiusura molto simile, quella di Michela e di suo padre, ricavata da un dolore familiare, da quel senso di perdita che li ha segnati, anche se in modo diverso. Suo padre, in seguito all’ictus che aveva colpito il nonno, fu investito dal peso della responsabilità che gravava sull’intera famiglia: c’erano le terre da curare, i debiti da sanare, c'era tutta una famiglia da sostenere. 

Michela, sempre così pronta a riconoscere le “fratture” negli altri,si rende conto di non essere stata capace di riconoscerle in suo padre, in quell’uomo, segnato da una storia familiare così pesante. Lei, suo padre, lo ha sempre giudicato e ora qualcosa non torna più. 

Michela, invece, “quel mal di vivere” se lo porta addosso, lo sente e ci combatte ogni giorno. Non ha mai avuto vergogna di raccontare la sua anoressia, il lungo percorso d’analisi, il tentato suicidio, quella continua ricerca di felicità che colpisce, in fondo, un po’ tutti noi. Michela non ha vergogna di questo, perché ha combattuto le sue battaglie e ancora lo fa per chi non ha voce. 

Ed è proprio scavando ancora nella vita di suo nonno, al di là del giudizio sulle sue scelte che Michela non può che condannare, che arriva anche una commozione sincera e improvvisa per quell’uomo che, ad un certo punto della sua vita deve fare i conti con la condanna morale e con la perdita del ruolo rivestito. Con la caduta del Fascismo, infatti suo nonno aveva subito l’epurazione e per molti anni non potè esercitare la sua professione. Michela si commuove nell’immaginarlo, chino sui fogli a cercare di giustificare il suo operato, nel provare a spiegare che non tutto ciò che aveva fatto era stato male: Arturo era un semplice magistrato di provincia e molti “pesci grossi” in Italia, alla caduta del Fascismo, non subirono come lui l' epurazione:molti si mantennero saldi nei loro posti e non pagarono per le loro colpe. 

In molte pagine emerge la volontà di svelarsi senza menzogne, perché La Marzano è così: non ha paura della verità, ma la ricerca ad ogni costo. Il problema è l’ingiustizia, l’incapacità di essere coerenti e fedeli a se stessi. 

“Il problema è l’ingiustizia. Il problema è che non ne posso più di tutta questa gente che si crede scaltra, e che cerca sempre il modo di approfittare della buonafede altrui. Odio l’idea che nella vita si vada avanti così, con i furbi che vincono sempre e gli altri che possono solo prendersela con se stessi e la propria ingenuità. 

Odio chi se ne approfitta. 

Odio il cinismo. 

Odio chi non prova mai vergogna. 

Odio chi non sa nemmeno cosa siano i sensi di colpa. 

Odio le menzogne. 

Odio la falsità.” 

Questo libro è uscito da poco anche in Francia con il titolo “Mon nom est sans mèmoire”, che personalmente mi piace di più rispetto al titolo italiano. Letteralmente vorrebbe dire “Il mio nome è senza memoria/ricordo”: ricordi e memorie di un passato, sicuramente scomodo e pesante, legati agli anni terribili del Fascismo, dai quali non si può prescindere per poter andare avanti. 

Recensione di Elisabetta Cabriolu.








Sono nata a Roma il 20 agosto 1970, da mamma Paola e papà Ferruccio. Tre anni più tardi è arrivato Arturo, mio fratello, anche lui nato in agosto. Dopo un’infanzia e un’adolescenza molto « studiose » – che poi è un eufemismo per dire che ho cominciato subito a rovinarmi la vita con la mania di voler essere sempre e comunque la « più brava », e che mi ci sono poi voluti vent’anni di analisi per uscire dal copione della « prima della calasse » – ho vinto il concorso alla Scuola Normale Superiore di Pisa, mi sono laureata in filosofia e ho conseguito un dottorato di ricerca sempre in filosofia e sempre alla SNS. È nel 1998 che mi trasferisco a Parigi dove vivo tuttora. È in Francia che vinco un concorso come ricercatrice al CNRS, incontro Jacques e divento professoressa ordinaria di filosofia morale all’Università Paris Descartes (SHS – Sorbonne). È in francese che faccio la mia psicanalisi e che, per piщ di dieci anni, scrivo e penso. Prima di tornare alla mia madre lingua e ricominciare a scrivere anche in italiano. Prima iniziando una collaborazione con Repubblica, poi pubblicando « Sii bella e stai zitta » e « Volevo essere una farfalla ». Nel 2013, mi ritrovo anche in Parlamento dove cerco, come posso, di portare avanti le mie battaglie sui diritti e le libertà individuali. (Fonte michelamarzano.it)

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