Paolo Rumiz 


Il Ciclope 


Feltrinelli




Se la lentezza è pregio per un viaggio, vado a illustrare, a lor signori, il più mirabolante viaggio di tutti i viaggi... il viaggio immobile. E se a qualcuno venisse l’uzzolo di chiedermi cos’è codesto stile da imbonitore, ricordandomi che gli imbonitori mica vendevano viaggi, è evidente che quel qualcuno non conosce la Storia, o preferisce fingere di non conoscerla, in particolare non conosce la storia dei contadini veneti finiti schiavi in Amazzonia per colpa di qualche imbonitore che girava le campagne promettendo un futuro migliore. 

Comunque la storia in questione non c’entra, mi scuso con Rumiz e si va avanti, con Maggiani poi si fa a mezzi... 

Immobile si diceva, perché il Faro in questione è l’immobile punta di una minuscola isola immobile nel Mediterraneo. Isola e Faro stanno fermi, il mare si muove, e si muove parecchio, spinto da venti capricciosi e diversi. Quale isola? ...Rumiz è dispettoso e non ve lo dice, per le ragioni che leggerete nel libro, io non ve lo dico, invece, perché sono più capriccioso di un Libeccio, di un Grecale o di un Maestrale... e anche di Rumiz. 

Amate i Fari, amate il mare, amate il mare chiamato Nostrum non per ribadire proprietà ma per suggerire condivisione, amate la scrittura limpida e suadente di Rumiz? ...allora amerete questo libro, mentre in caso contrario lo troverete lento e faticoso, o addirittura immobile appunto. 

Tante storie appartengono all’isola del Ciclope, tante altre vengono incontro all’isola del Ciclope. Ciclopica come il suo Faro, ciclopica come il suo asino. Storie che ci consentono di gettare uno sguardo, uno solo, ciclopico, su molti altri Fari: da quelli del Finisterre in Bretagna, col loro iconico Ar-Men che apparentemente galleggia sul nulla, ai Fari che illuminano il Passaggio a Nord Ovest e a quelli che sorvegliano “l’eccessiva” vicinanza di due mondi, “eccessivamente” diversi, sullo stretto di Bering, e lo fanno nelle terre abitate da uomini cui devi parlare a bassa voce, se no si spaventano. 

Potrete ammirare uccelli impossibili da vedere perché non vengono mai a terra, luminarie di stelle impossibili da vedere causa inquinamento luminoso. Magari non mormorerete “Sternenlicht” come Rumiz, parola tedesca che “evoca distese notturne di neve tra le betulle, con radure segnate dalle tracce delle lepri”, ma sarete tentati di rubargli la parola, come ho fatto io, perché tanto gli scrittori altro non sono che ladri di parole. Ladri in grado di mischiare le carte, d’indicarci una Fortezza Bastiani nella terra dei Quattro Mori, dove giovani ufficiali sono invecchiati inutilmente attendendo Tartari francesi. Ladri di storie di cani che smettono di ululare e di lune che, senza il richiamo, non tornano dai cani e dai loro padroni. Ladri d’iscrizioni tombali, come quella del capitano della nave affondata di fronte all’isola di Lavezzi, Bocche di Bonifacio, che portò con sé, in fondo al mare, seicentonovantacinque uomini diretti alla Guerra di Crimea: 

“Gabriel, figlio mio caro, tua madre, tua moglie e la tue sorelle vorrebbero deporre sulla tua tomba la testimonianza del loro dolore. Per trent’anni hai navigato lasciandoci nell’inquietudine, ma ogni ritorno era la gioia” 

Nomi e storie che si sottraggono al passato... del resto, come disse Whipple, “I libri sono come Fari eretti nei grandi mari del tempo”. 




Recensione di Riccardo Gavioso. 








Paolo Rumiz, giornalista e scrittore italiano (n. Trieste 1947). Inviato speciale del "Piccolo" di Trieste, quindi editorialista di "La Repubblica", ha seguito gli eventi politici che a partire dagli anni Ottanta hanno prodotto profonde trasformazioni nell’area balcanica, pubblicando a seguito di questa esperienza il reportage Maschere per un massacro (1996), e successivamente ha documentato gli eventi bellici verificatisi in Afghanistan dal 2001. Appassionato viaggiatore di viaggi lenti e consapevoli, effettuati a piedi o con mezzi di fortuna, indagatore delle terre di confine e dei luoghi dimenticati, ha percorso itinerari sconosciuti al turismo di massa, soprattutto nell'Est europeo, nel profondo Nordest italiano, lungo il fiume Po. Di questo girovagare animato da ideali minimi e chiari, e degli incontri che ne sono derivati con un mondo di personaggi autentici e di territori strani e meravigliosi, ha dato conto con uno stile asciutto e fotografico, che non si compiace mai di sé stesso ma tende a restituire con immediatezza e semplicità il vissuto, in numerosi libri, tra cui occorre citare almeno: Danubio. Storie di una nuova Europa (1990); La leggenda dei monti naviganti (2007); Tre uomini in bicicletta (con F. Altan, 2008); L'Italia in seconda classe (2009); Trans Europa Express (2012); Morimondo (2013); Come cavalli che dormono in piedi (2014); entrambi nel 2015, La cotogna di Istanbul. Ballata per tre uomini e una donna (da leggere soltanto ad alta voce) e Il Ciclope; Appia (2016); La regina del silenzio (2017); Il filo infinito (2019); Il veliero sul tetto. Appunti per una clausura (2020); Canto per Europa (2021). (Fonte treccani.it)

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