Elias Canetti
Il gioco degli occhi
Storia di una vita (1931 – 1937)
Edizioni Adelphi
Recensione di Roberto Maestri.
Terza e ultima parte dell’autobiografia di Elias Canetti, la parte della sua maturità personale e creativa. Sono gli anni infatti in cui lo scrittore stende la versione definitiva di Auto da Fé contemporaneamente a un dramma teatrale che legge di fronte a uditori selezionati nei salotti viennesi. Il furore creativo predomina nell’animo dell’autore, il quale esprime tutta la sua forza in queste audizioni pubbliche dove difficilmente gli spettatori, favorevoli o meno, certamente non ne escono indifferenti. Il salotto principe di queste esibizioni è quello di Anna Mahler, figlia del grande musicista Gustav, dove si respira il fermento della cultura viennese di quegli anni, la letteratura di Robert Musil, le teorie di Sigmund Freud, la musica di Alban Berg, gli artisti della Secessione. Canetti trova un suo spazio all’interno di tutto questo, pur essendo ancora nient’altro che una promessa per la letteratura, digiuno com’è di qualsiasi pubblicazione. Riesce in ogni caso a farsi apprezzare da vari critici, lo stesso Musil ha parole di elogio, non così James Joyce, che l’autore in erba avrà la ventura di incontrare durante un viaggio a Zurigo. È di quel periodo anche l’amicizia con lo scrittore Hermann Broch, il quale formerà con Canetti un sodalizio che durerà cinque anni.
Nel frattempo dal confine a nord, giungono echi di avvenimenti preoccupanti che influenzeranno anche la vita della capitale e di tutta l’Austria, l’antisemitismo montante, il diffondersi di resistenze nei confronti di idee e riferimenti culturali non in accordo con l’ideologia nazista che iniziava a farsi largo anche nei territori attigui. “Ero pronto ad armarmi della pazienza necessaria, ma gli avvenimenti non erano così pazienti. Quando nel 1933 calò sul mondo la grande accelerazione che doveva trascinare tutto con sé, io non avevo ancora nulla da contrapporle sul piano teorico e sentivo il grande bisogno interiore di raffigurare ciò che non capivo.”
È comprensibile come in periodi di crisi non solo economica possa risultare difficile per uno scrittore esordiente trovare un editore per farsi pubblicare. Il caso e la fortuna però verranno incontro a Canetti nella persona di Jean Hoepffner, un alsaziano direttore della rivista Strassburger Neueste Nachrichten, il giornale più letto in Alsazia, il quale decide di accollarsi il rischio di fare da garante per un’eventuale pubblicazione del romanzo Auto da Fé, che nel frattempo ha trovato la sua stesura definitiva. Il passo che determina la messa in stampa dell’opera a questo punto è solo una questione di dettagli e il romanzo vedrà finalmente la luce. “Tra le cose essenziali che si preparano dentro di noi vi sono gli incontri rinviati. Può trattarsi di luoghi e di uomini, di quadri come di libri.”
Leggere questa autobiografia, nei suoi tre volumi non è soltanto ripercorrere la vita di un uomo, di uno scrittore che ha meritato il premio Nobel negli anni recenti. Le pagine di questi tre volumi sono dense anche della storia della prima metà del Novecento nell’Europa centrale, con i suoi tragici avvenimenti a preludio di quel decennio successivo all’anno in cui si chiude il terzo volume della trilogia. Vengono descritti sullo sfondo gli sconvolgimenti sociali conseguenti al dissolvimento di un impero, quello Austro-ungarico, con il termine della Grande Guerra, la dispersione delle comunità ebraiche da una parte verso gli embrioni di sionismo, con il sogno del ritorno in una Patria, la Palestina, tutta da inventare e dall’altra la speranza, presto tragicamente delusa, di poter ricostruire un'integrazione nelle nuove repubbliche della Mitteleuropa che si andavano formando.
Un libro nei libri dunque, che si offre a diverse chiavi di lettura, quella umana dell’autore, quella storica che abbiamo detto e quella letteraria e artistica in generale, con i vari personaggi, quelli noti come quelli meno conosciuti, che alimentano un fermento creativo che ha avuto pochi eguali nella storia della cultura occidentale.
Una trilogia su più livelli che contribuiscono a rendere piacevole una lettura che, per la sua mole, potrebbe spaventare più di un lettore.
La traduzione è di Gilberto Forti.
L’autore:
Elias Canetti (Ruse, 25 luglio 1905 – Zurigo, 14 agosto 1994) è stato uno scrittore, saggista e aforista bulgaro naturalizzato britannico, di lingua tedesca, insignito del Nobel per la letteratura nel 1981. Elias Canetti nacque a Ruse, primo dei tre figli di Jacques Canetti, commerciante ebreo di remote origini spagnole (gli avi paterni nacquero con il cognome di Cañetema, in seguito all'espulsione degli ebrei dalla penisola iberica avvenuta nel 1492, modificarono il proprio cognome), e di Mathilde Arditti, nata da una ricca famiglia ebraica sefardita di origini italiane (gli avi materni erano sefarditi livornesi che si erano stabiliti in Bulgaria). La lingua della sua infanzia fu il ladino o giudeospagnolo parlato in famiglia, ma il piccolo Elias fece presto esperienza con la lingua tedesca, usata in privato dai genitori (che la consideravano la lingua del teatro e dei loro anni di studio a Vienna).
I viaggi, le relazioni e le numerose lingue praticate costituiscono il corposo patrimonio culturale di Canetti. La sua opera, oltre ad essere incentrata sulla metamorfosi, è essa stessa una metamorfosi continua: un solo romanzo, un solo libro di "antropologia", pochi testi teatrali, alcuni saggi, alcuni aforismi, un diario di viaggio e un'autobiografia. Divisa in più volumi (La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi), fu pubblicata fra il 1977 e il 1985. È proprio quest'opera, una delle più intense della letteratura contemporanea, che fa di lui uno degli scrittori più importanti del Novecento.
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