Elias Canetti
La lingua salvata
Storia di una giovinezza
Edizioni Adelphi
Leggere un’autobiografia comporta la stessa attenzione che si manifesta quando entriamo per la prima volta nella casa di qualcuno. Entriamo in questa casa quasi timorosi, guidati dal nostro ospite il quale ci mostra la sua abitazione descrivendone le stanze una a una. In questo caso, gli ambienti della giovinezza di Canetti si traducono nelle oltre mille pagine dei relativi tre volumi dell’edizione Adelphi, e qui lo sforzo del lettore diventa quasi un’impresa epica facilmente superabile grazie allo stile narrativo che rende appassionante la trama. I tre libri, pur se pubblicati separatamente e autonomi fra loro, necessitano a mio avviso di una lettura conseguente, impegnativa certo, ma che ripaga il lettore accompagnandolo nell’immersione in un mondo intriso di quella cultura mitteleuropea così significativa nello sviluppo della letteratura occidentale del Novecento.
Il primo volume dell’autobiografia degli anni giovanili del futuro premio Nobel, La lingua salvata alla quale seguiranno i volumi Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi, copre un arco che va dalla nascita nel piccolo paese in Bulgaria nel 1905 al secondo soggiorno zurighese nel 1921.
Quello che ci aiuta a compiere Canetti è un viaggio che prende avvio dalle sue letture d’infanzia, i libri di avventure che il padre gli regala e che lui legge e rilegge costantemente, ma è anche un tuffo nella cultura e nelle tradizioni del mondo ebraico della diaspora balcanica: il giudeo-spagnolo variante del castigliano, la lingua parlata dai parenti stretti mescolata con il bulgaro dei non appartenenti all’ambito famigliare, i rituali e le tradizioni religiose che si intersecano con un mondo, che sta progressivamente scomparendo nei primi anni del secolo breve, travolto da processi storici che procedono come un rullo compressore su quelle terre di confine di un’Europa che sta vivendo una fase di profonde trasformazioni.
Il piccolo Elias segue gli spostamenti della sua famiglia in mezza Europa, Manchester, Vienna, Zurigo, diventano le città della sua formazione personale e letteraria, sotto la guida della madre che avrà un ruolo centrale nel corso della giovinezza di Canetti a seguito anche della prematura e improvvisa morte del padre. È la madre infatti che si occupa di fornire o proibire le letture adatte a un bambino in quella che doveva essere una crescita equilibrata per i canoni educativi dell’epoca. E sarà proprio questo rapporto simbiotico con la genitrice a segnare l’infanzia e la prima adolescenza del futuro scrittore, con le loro comuni letture serali, le loro discussioni su questo o quell’autore, i drammi raccontati al ritorno da teatro, gli autori censurati perché non ritenuti adatti o la cui lettura era ancora semplicemente prematura, rapporto che si modificherà nel tempo fino alla rottura negli anni a seguire e i cui germi compaiono verso la fine di questa prima parte di autobiografia.
Nella descrizione di se stesso, Canetti non ha timore di nascondere alcuni aspetti scomodi del suo carattere di bambino: il desiderio di primeggiare sui compagni, la quasi supponenza nel suo desiderio di sapere, la scarsa empatia verso i compagni con un profitto scolastico più scarso del suo. Per sua stessa ammissione, non dev’essere stato un compagno di scuola troppo simpatico agli occhi dei suoi pari, ma è lodevole il coraggio e la consapevolezza della confessione.
L’ultima parte del libro racchiude forse il periodo più felice della vita dell’adolescente Elias, il periodo zurighese nel quale il giovane si abitua alla vita ovattata e rassicurante della città sul lago omonimo. Ma sarà la madre, ancora una volta, che ha ben altre mire nei confronti del figlio, che non vederlo adagiarsi nel provincialismo elvetico, a costringerlo a lasciare Zurigo per la severa Germania. Significativo il dialogo che si svolge fra i due verso il finale del racconto:
«Siediti!»e lei stessa si mise a sedere. «Adesso questa storia è finita!» esclamò di punto in bianco, ed io seppi che era scoccata l’ora. «Devi andartene di qui. Ti istupidisci!».
«Ma io non voglio andar via da Zurigo. Restiamo qui, qui so perché sono al mondo».
«Perché sei al mondo! Masaccio e Michelangelo! Tu credi che il mondo sia questo! Fiorellini da dipingere, il “nido del passero” di Fraulein Mina. Le ragazzine, e tutte le moine che ti fanno; una più rispettosa e devota dell’altra. I quaderni zeppi della filogenesi degli spinaci. Il calendario Pestalozzi, ecco qual è il tuo mondo! I personaggi famosi che trovi sfogliando il calendario. Ti sei mai chiesto se hai il diritto di farlo? Tu ne vedi gli aspetti gradevoli, la gloria che li circonda, ma ti sei mai chiesto come hanno vissuto? Credi che siano stati seduti in un bel giardino, come fai tu ora, in mezzo ad alberi e fiori? Credi che la loro vita sia stata un profumo di fiori? I libri che leggi! Il tuo Conrad Ferdinand Meyer! Quei racconti storici! Che cosa hanno da spartire con la vita di oggigiorno? Hai letto qualcosa sulla Notte di San Bartolomeo o sulla guerra dei Trent’anni e credi di sapere cos’è la vita! Niente sai! Niente! La vita è tutta un’altra cosa. È terribile!».
Con la partenza del protagonista da Zurigo si chiude la prima parte dell’autobiografia di questo gigante della letteratura europea che proseguirà con la seconda parte, Il frutto del fuoco. Un rimando alla lettura del volume successivo, che lascia il lettore curioso e desideroso di sapere come questa vita dedicata alle lettere prenderà forma.
Le traduzioni sono a cura di Amina Pandolfi e Renata Colorni.
L’autore:
Elias Canetti (Ruse, 25 luglio 1905 – Zurigo, 14 agosto 1994) è stato uno scrittore, saggista e aforista bulgaro naturalizzato britannico, di lingua tedesca, insignito del Nobel per la letteratura nel 1981. Elias Canetti nacque a Ruse, primo dei tre figli di Jacques Canetti, commerciante ebreo di remote origini spagnole (gli avi paterni nacquero con il cognome di Cañetema, in seguito all'espulsione degli ebrei dalla penisola iberica avvenuta nel 1492, modificarono il proprio cognome), e di Mathilde Arditti, nata da una ricca famiglia ebraica sefardita di origini italiane (gli avi materni erano sefarditi livornesi che si erano stabiliti in Bulgaria). La lingua della sua infanzia fu il ladino o giudeospagnolo parlato in famiglia, ma il piccolo Elias fece presto esperienza con la lingua tedesca, usata in privato dai genitori (che la consideravano la lingua del teatro e dei loro anni di studio a Vienna).
I viaggi, le relazioni e le numerose lingue praticate costituiscono il corposo patrimonio culturale di Canetti. La sua opera, oltre ad essere incentrata sulla metamorfosi, è essa stessa una metamorfosi continua: un solo romanzo, un solo libro di "antropologia", pochi testi teatrali, alcuni saggi, alcuni aforismi, un diario di viaggio e un'autobiografia. Divisa in più volumi (La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi), fu pubblicata fra il 1977 e il 1985. È proprio quest'opera, una delle più intense della letteratura contemporanea, che fa di lui uno degli scrittori più importanti del Novecento.
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