Elias Canetti.


Il frutto del fuoco

Storia di una vita (1921 – 1931)


Adelphi Edizioni




Recensione di Roberto Maestri.


Seconda parte dell’autobiografia del premio Nobel per la letteratura Elias Canetti. Sono gli anni della formazione del nostro protagonista, il decennio di passaggio dall’adolescenza alla giovinezza, preambolo di quell’età matura che farà di lui una delle menti più lucide del Novecento. Sullo sfondo le immagini di un Europa uscita da un conflitto devastante dal quale le antiche potenze centrali, a seguito della sconfitta, faticano a riprendersi. È un’Europa in profonda trasformazione quella che vede crescere il giovane Elias, ricca di fermenti sociali e reazioni violente, una fase storica che getterà le basi per i conflitti futuri, dove anche il mondo culturale riveste un duplice ruolo di stimolo e vittima dei totalitarismi che si stanno affacciando sulla scena.

Il soggiorno tedesco di Canetti risente di questa situazione precaria, l’inflazione galoppante, l’economia disastrata e una situazione politica in continuo movimento. La famiglia Canetti, madre e tre figli, riesce comunque a mantenere una discreta autonomia economica, grazie all'oculata amministrazione che la madre mette in atto.

In questo periodo nel nostro protagonista è ancora radicato fortemente il concetto dell’ideale iperuranio dei libri e delle immagini: “Fra le accuse che in quell’anno mi venivano rivolte più spesso ce n’era una che mi dava del filo da torcere: io non sapevo come va il mondo, ero accecato, non volevo saperlo. Mi ero messo i paraocchi ed ero deciso a non toglierli mai. Ero sempre alla ricerca delle cose che avevo conosciuto attraverso i libri. Vuoi che mi limitassi a un solo tipo di libri, vuoi che ne ricavassi le cose sbagliate – fatto sta che ogni tentativo di parlare con me di come va il mondo in concreto era condannato al fallimento.”

Significativi anche i passaggi in cui l’autore parla dell’influenza che ebbero su di lui le visioni dei quadri di Breughel, Bosch e Rembrandt: “Una via verso la realtà, infatti, passa attraverso le immagini.”

Ma la vita reale prima o poi bussa imperiosamente alla porta di ciascun essere umano, e il ritroso Canetti si ritrova nelle strade di Francoforte prima e Vienna poi, con le manifestazioni di piazza per le rivendicazioni delle classi lavoratrici e la conseguente repressione da parte delle forze dell’ordine, all’interno delle quali il giovane Elias si trova suo malgrado coinvolto, fino all’esperienza traumatica degli scontri del 15 luglio 1927 culminati con l’incendio del palazzo di giustizia nella capitale austriaca.

Il nostro autore vive durante questi eventi l’esperienza dell’essere parte di una massa, con le sue regole non scritte, quasi questa agisse come un unico corpo fatto di migliaia di individui diretti da un unico pensiero.

Ed è proprio grazie a questa esperienza che cominceranno a germogliare in lui i semi per due opere fondamentali pubblicate in seguito: il suo studio sulla psicologia delle masse, scaturito anche dalla ripulsa verso il testo di Freud Psicologia delle masse e analisi dell’Io e da scritti di altri autori sullo stesso argomento e che troverà il suo sfogo nella pubblicazione del suo saggio Massa e potere che vedrà la luce nel 1960, ma soprattutto i fatti di piazza viennesi saranno fonte di ispirazione per caratterizzare il protagonista di Auto da fé, unico romanzo propriamente detto, scritto dall’autore.

Proseguendo il percorso di sprovincializzazione a cui lo ha sottoposto la madre fin dalla loro partenza dalla prigione dorata di Zurigo (il riferimento è alla prima parte dell’autobiografia La lingua salvata), gli anni descritti in questo libro sono anche gli anni degli incontri, fra Francoforte, Berlino, Vienna e Parigi, con personaggi che ricoprono ruoli importanti nella cultura di lingua tedesca dell’epoca: Karl Kraus, George Grosz, Bertold Brecht il quale proprio in quel periodo stava curando il debutto dell’Opera da tre soldi, ma più di tutti, Veza, ladonna che da qui in avanti avrà una parte determinate nella vita affettiva e intellettuale di Canetti.

Il libro si chiude con la genesi in abbozzo del romanzo Die Blendung, accecamento, che per espressa volontà dell'autore sarà tradotto in Auto da fé solo per le edizioni italiane e inglesi e che troverà la sua stesura definitiva soltanto negli anni a venire, e per la quale rimandiamo alla lettura della terza parte dell’opera.

La traduzione è a cura di Andrea Casalegno e Renata Colorni.



L'auore:


Elias Canetti (Ruse, 25 luglio 1905 – Zurigo, 14 agosto 1994) è stato uno scrittore, saggista e aforista bulgaro naturalizzato britannico, di lingua tedesca, insignito del Nobel per la letteratura nel 1981. Elias Canetti nacque a Ruse, primo dei tre figli di Jacques Canetti, commerciante ebreo di remote origini spagnole (gli avi paterni nacquero con il cognome di Cañetema, in seguito all'espulsione degli ebrei dalla penisola iberica avvenuta nel 1492, modificarono il proprio cognome), e di Mathilde Arditti, nata da una ricca famiglia ebraica sefardita di origini italiane (gli avi materni erano sefarditi livornesi che si erano stabiliti in Bulgaria). La lingua della sua infanzia fu il ladino o giudeospagnolo parlato in famiglia, ma il piccolo Elias fece presto esperienza con la lingua tedesca, usata in privato dai genitori (che la consideravano la lingua del teatro e dei loro anni di studio a Vienna).

I viaggi, le relazioni e le numerose lingue praticate costituiscono il corposo patrimonio culturale di Canetti. La sua opera, oltre ad essere incentrata sulla metamorfosi, è essa stessa una metamorfosi continua: un solo romanzo, un solo libro di "antropologia", pochi testi teatrali, alcuni saggi, alcuni aforismi, un diario di viaggio e un'autobiografia. Divisa in più volumi (La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi), fu pubblicata fra il 1977 e il 1985. È proprio quest'opera, una delle più intense della letteratura contemporanea, che fa di lui uno degli scrittori più importanti del Novecento.

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